Su Facebook un'amara lettera rivolta al figlio dove ritorna sul caso di Alberto Balboni (Fratelli d'Italia) che porterà la sua solidarietà in carcere ai due dei quattro poliziotti appena condannati per l'omicidio di Federico
“Li abbracci pure quegli individui, guardi poi nel tornare a casa gli occhi di suo figlio o dei suoi figli, se ne ha il coraggio”. Lino Aldrovandi aveva due figli. Uno, Federico, gliel’hanno portato via il 25 settembre 2005 quattro poliziotti. Tre di loro ora sono in cella. A scontare sei mesi di pena, il residuo dei tre anni e mezzo comminati in cassazione. I due agenti che ancora risiedono a Ferrara, Luca Pollastri e Paolo Forlani, sono entrati giorni fa nel carcere dell’Arginone. Questo dopo che il tribunale di sorveglianza di Bologna che aveva negato loro la concessione di pene alternative come i servizi sociali o i domiciliari. Contro quella decisione il senatore di fratelli d’Italia Alberto Balboni, anche lui ferrarese, ha annunciato la sua prossima visita in carcere per portare solidarietà ai due agenti. Un gesto che il padre orfano di Federico non riesce a sopportare.
“Andrà ad abbracciare due pregiudicati… Ci mancava la solidarietà di un politico verso chi ti uccise quella maledetta e vigliacca domenica mattina”. Scrive Lino Aldrovandi su Facebook, immaginando di poter ancora parlare con Federico. Il padre ricorda i motivi del perché i due poliziotti sono stati condannati. E per farlo riporta le parole dette in incidente probatorio, prima dell’inizio del processo per omicidio colposo, di Anne Marie Tsegue, la testimone oculare che – unica tra i residenti di Via Ippodromo dove avvenne la violenta colluttazione – volle testimoniare. La scena è quella di Federico a terra, ormai inoffensivo, con i poliziotti sopra di lui. “Quello in piedi, il quarto (Luca Pollastri, ndr), va avanti e indietro mentre parla al cellulare e mentre Federico è a terra, bloccato dagli altri tre poliziotti, lo tempesta con i piedi, lo calcia tanto”. Quanto a Paolo Forlani, “oltre a strapparti – prosegue il padre rivolgendosi al figlio perduto – i bulbi dei capelli mentre ti trascinava a terra (il cappuccio della tuta di felpa che indossavi ne è pieno), dopo la sentenza di Cassazione offese anche la mamma definendola faccia da culo…”.
“Ognuno è libero di abbracciare chi vuole – chiude Lino Aldrovandi – sarà la gente a giudicare… Per ora lo Stato ha giudicato e condannato. Quella divisa, finché quegli individui continueranno ad indossarla, sarà sempre intrisa dell’odore forte del sangue di un innocente: Federico”.