È tutta una questione di caselle, questo si sapeva dall’inizio, e di lotte feroci. Soprattutto contro gli imbucati, ossia i paracadutati da Roma. Che hanno bisogno di essere piazzati, solitamente in un posto sicuro, senza tener conto dei meriti e delle aspirazioni dei locali. In Sardegna la rivolta c’era stata nel Pd, e, sottotono ma forse con più successo, pure nel Pdl. L’estraneo di turno nella lista alla Camera si trova ora in posizione numero tre, non male, il seggio dovrebbe essere quasi sicuro. In mezzo, ma per lui poteva andare decisamente meglio. Il candidato temuto e odiato dai colleghi è Paolo Vella, siciliano di Caltagirone, già eletto in Sardegna nel 2008, sempre a Montecitorio. E pensare che quattro anni fa era solo all’undicesimo posto, subito dopo l’attore Luca Barbareschi (altro eletto tra mille polemiche) ed è riuscito ad entrare grazie allo scivolo dei big nazionali, Berlusconi e Fini.
Comunque a questo giro, prima che le liste diventassero ufficiali, appena 24 ore prima della scadenza, tra Roma e l’Isola si vociferava addirittura che il suo fosse il posto numero due o addirittura quello del capolista. Roba da far infuriare chiunque, anche e soprattutto il coordinatore regionale del partito, il deputato uscente Settimo Nizzi. Ma chi è Paolo Vella? E perché tante attenzioni? L’outsider sardo d’adozione (ma non troppo) è infatti forse l’interlocutore più accreditato presso Palazzo Grazioli, al di là del Tirreno e delle beghe di provincia. Architetto, da anni vive ad Alghero, ed è dirigente della Regione (Beni culturali e paesaggistici), con frequentazioni illustri, amico intimo di Berlusconi e di Alfano. Prima ancora è stato dirigente dell’Ufficio tutela del paesaggio di Sassari, con competenze anche sulla Gallura, almeno fino al 2004. Dopo ci sono stati un contenzioso legale portato avanti da un collega, varie inchieste giornalistiche oltre a quella giudiziaria della Procura di Tempio sugli abusi edilizi della residenza dell’allora premier, Villa Certosa. Una vicenda chiusa nel 2008 con un “tutto regolare”. Al centro delle indagini della magistratura c’erano i lavori di ampliamento che avevano ricevuto un’autorizzazione paesaggistica dall’ufficio diretto allora da Vella, che ha seguito passo passo la complicata pratica con una celerità che ha suscitato molti sospetti. Un via libera che ha di certo pesato in tribunale. Il dirigente è poi diventato parlamentare anche se fino a quel momento semi sconosciuto nell’ambiente politico.
Dalla grotta al ben noto tempio finto greco-romano da centinaia di posti, fino al laghetto artificiale e al percorso per talassoterapia con cinque piscine: queste le opere entrate nell’immaginario collettivo nazionale. L’allora indagato, poi prosciolto, era Giuseppe Spinelli, in qualità di amministratore della Idra Immobiliare, di fatto proprietaria della Villa di Porto Rotondo. Durante le tappe dell’inchiesta fu addirittura apposto il segreto di Stato sulla dimora e parco annesso, poi ritirato. In sostanza i magistrati galluresi contestavano il fatto che le autorizzazioni, delicate, ai quei lavori così ingombranti a Punta Lada fossero arrivate semplicemente a creazioni già avvenute. Come ha ricostruito anche Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera: date che si sovrappongono tra il 2003 e il 2004. Carta canta e infatti alcune fotografie erano state già pubblicate in una nota rivista di architettura apparentemente prima dell’ok ufficiale. E poi da lì una girandola di concessioni, prescrizioni e condoni. Mentre la difesa tenuta dall’avvocato Ghedini smontò le accuse con tanto di testimonianza di un funzionario dell’ufficio tecnico del Comune di Olbia. Ed ecco qui il legame, forse l’unico, tra Paolo Vella e Settimo Nizzi. Non c’è infatti solo la vicinanza di posizione nella blindatissima lista. L’attuale coordinatore regionale del Pdl era infatti in quegli anni al suo secondo mandato come primo cittadino di Olbia, comune appunto da cui è arrivata la licenza edilizia per il parco di Punta Lada.
Ma il rapporto finisce qui, semplici compagni di viaggio. Per Nizzi negli ultimi giorni c’era da difendere soprattutto la sardità dei candidati, e i posti. A partire dal deputato Mauro Pili, l’onnipresente ex presidente della Regione, fondatore del movimento Unidos. Il cui simbolo era già stato depositato al Viminale, da porre su una potenziale lista-salvagente pronta all’uso. Da lì il quasi ricatto ricostruito sull’Unione sarda nei giorni scorsi da Anthony Muroni: Nizzi avrebbe avuto la scaletta dei nomi. E per la Camera il capolista sarebbe stato proprio Vella, seguito da Salvatore Cicu, Pili, Nizzi, Simone Testoni e Bruno Murgia. Subito dopo le proteste e la revisione fatta dal Cav, insieme ad Alfano e Verdini. E quindi si riscrive tutto: primo Pili per evitare il rifiuto della candidatura, si salva Cicu (con deroga) e poi, a seguire i due che ruotano attorno alla Gallura e al buen ritiro: Vella e Nizzi. Solo dopo Murgia e Testoni (che ha poi rinunciato perché in posizione svantaggiata) e così via. I conti si fanno già da ora e dal quinto posto in poi per molti degli aspiranti parlamentari è tempo perso. Mentre i criteri di rappresentanza territoriale sono solo una linea guida inapplicata. Così il malumore dei palazzi sardi resta solo rumore di sottofondo, quello dei corridoi romani ha già prodotto i suoi effetti.