Diritti

Se la società civile non rappresenta più la società

Il congresso di Magistratura Democratica, appena celebrato, ha costituito un’occasione per le organizzazioni della società civile presenti, e tra queste Cittadinanzattiva, di confrontarsi sullo stato della giustizia italiana e sulle sue prospettive future con un’associazione che, storicamente, ha rappresentato un’avanguardia culturale e una delle punte più avanzate della Magistratura italiana.

In quella sede è stato accolto e raccolto il punto di vista della società civile organizzata.

Un concetto, quello di società civile, negli ultimi anni oramai abusato e che, invece, per un movimento come il nostro, risponde ad un preciso significato di valore. Un concetto che rimanda immediatamente al ruolo dei cittadini ed tema della loro partecipazione, come singoli o in forma organizzata, al governo della vita pubblica e ad una assunzione diretta di responsabilità nel prendersi cura dei beni comuni, nel dare concretezza al principio di sussidiarietà circolare, come consacrato dall’art. 118 comma 4 della Costituzione.

Negli ultimi tempi, la politica si è appropriata del richiamo alla società civile, rendendola una sorta di definizione “contenitore”, da riempire, come è suo costume, di contenuti e soggetti a proprio uso e consumo e finendo, in alcuni casi, col riprodurre tristemente anche nella rappresentazione della società civile quella spaccatura sempre più acuta tra élites di privilegiati e la restante parte della società, quella dei cittadini comuni, destinati a rimanere privi di rappresentanza e destinatari di un processo di progressiva compressione dei diritti.

Tale condizione di crescente esclusione dai servizi e riduzione dei diritti, compresi quelli fondamentali, che non trova rappresentanza e risposte in politica, investe anche il sistema giustizia.

Le segnalazioni dei cittadini che si rivolgono al nostro servizio di consulenza e tutela sul funzionamento del servizio giustizia fotografano un sentimento generale di sfiducia e frustrazione, di chi si sente vittima di un sistema, piuttosto che fruitore di un servizio; sfiducia dovuta alla cronica lentezza dei procedimenti, che allontana ad un tempo incerto e indefinito il momento in cui si otterrà una risposta e si vedrà affermato un diritto. Frustrazione legata ai costi che, anche in conseguenza di tali ritardi, i cittadini sopportano e che, per altro verso, si traducono sempre più spesso in vere e proprie barriere all’accesso. E non aiutano certamente, a riguardo, i consistenti aumenti dei contributi unificati: siamo convinti che non si scoraggia il ricorso eccessivo al rimedio giurisdizionale aumentando i costi con ricadute indiscriminate. Piuttosto, il ricorso alla giustizia cosiddetta alternativa e la diffusione delle ADR, al di là delle polemiche sul D.lgs 28/2010 sulla media-conciliazione, possono rappresentare una reale opportunità di alleggerimento del contenzioso civile e una modalità efficace e celere di gestione dei conflitti.

Le barriere all’accesso diventano poi tragicamente evidenti, se si guarda alla tutela dei meno abbienti, con il patrocinio a spese dello Stato , laddove alla bassissima soglia di reddito prevista per fruire del beneficio si aggiungono ostacoli ulteriori, dagli eccessivi passaggi burocratici alle frequenti e immotivate decisioni di rigetto.

In generale, è significativo che nel tempo sia fortemente cresciuta la domanda di informazione, raccolta dal nostro Pit Giustizia, su condizioni e modalità di accesso al gratuito patrocinio; è il segnale di difficoltà economiche sempre più diffuse, le quali, pur nascendo altrove, rendono problematico l’accesso alla giustizia.

Complessivamente, poi, è forte la percezione di una giustizia a doppio binario, somministrata diversamente a seconda dell’estrazione sociale, dell’origine etnica dello status e che in alcuni ambiti, come nel penale o rispetto ai cittadini immigrati, diventa lampante.

La situazione delle carceri italiane, che Don Luigi Ciotti ha incisivamente ha definito “discarica sociale”, è il drammatico riflesso di questa giustizia severa e rapida con i deboli, lenta (laddove la lentezza è un vantaggio) ed indulgente con i privilegiati, figlia di leggi inique come la ex Cirielli o la Fini-Giovanardi.

Un segnale di parziale riequilibrio poteva darsi con l’approvazione del ddl “anticorruzione”, attraverso un corretto intervento sui termini di prescrizione della corruzione, il ripristino del falso in bilancio, l’introduzione dei reati di auto riciclaggio e del voto di scambio. Ma anche quest’opportunità è stata mancata.

Alle proposte, seppure condivisibili, come il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena laddove manchino condizioni tali da garantire il rispetto della dignità umana, tese a rispondere all’emergenza del sovraffollamento carcerario, dovrebbe accompagnarsi un deciso orientamento per la depenalizzazione di fattispecie di minore allarme sociale e per le misure alternative alla detenzione.

Altrettanto urgente il problema degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, il cui definitivo superamento, pur previsto dalla la legge 9/2012, sembra ancora lontano, visto il clamoroso ritardo nella assegnazione alle Regioni delle risorse necessarie e già stanziate.

L’auspicio è che simili questioni, evidentemente prioritarie per la società civile, quella che propone e mobilita, sensibilizza, dissente e partecipa, diventino tali anche per la futura compagine governativa. La realtà dice che finora risultano quasi del tutto assenti nelle campagne elettorali.

Laura Liberto, coordinatrice nazionale Giustizia per i diritti – Cittadinanzattiva