Da remunerativa e promettente stella delle telecomunicazioni pubbliche a società in concordato preventivo. La parabola di Seat Pagine gialle è emblematica di come un processo di privatizzazione possa portare un gruppo al collasso senza alcun vantaggio per i cittadini. La società, nata a Torino il 23 maggio 1925 con un capitale di 100 mila lire con azionisti l’azienda pubblica Sip (al 65%) e la società Giani & Cn (al 35%), ha infatti chiesto l’ammissione al concordato preventivo per garantire ”la continuità aziendale” alla luce dell’ impossibilità di ”far fronte agli impegni sul debito nel 2013 e dopo la la revisione al ribasso dei target”.
La notizia della richiesta di concordato precentivo ha fatto crollare del 40% il titolo in Borsa spingendo il valore dell’intero gruppo ad appena 12,5 milioni di euro, una cifra ridicola rispetto all’indebitamento finanziario netto da 1,327 miliardi a dicembre 2012. E praticamente nulla se paragonata ai 24 miliardi di euro di valore della società a fine duemila. Del resto tra contanti e flussi di cassa non si arriva neanche a pagare i debiti. Figuriamoci poi ad immaginare un rilancio dell’attività industriale.
Eppure, quando era ancora nelle mani dello Stato, Seat, che è stata spolpata negli anni dai capitalisti senza capitali attraverso acquisizioni che accollano il debito alla preda, era un piccolo gioiello macina-profitti. Nel 1996 quando il Tesoro, sotto il governo di Romano Prodi, decide la privatizzazione sono ben tre le offerte in lizza: il colosso statunitense delle tlc ITT World Directories, affiancato dalla Sopaf e dalla Ge Capital, il leader americano degli elenchi telefonici Gte e il consorzio Ottobi, posseduta dalla Otto Spa e composta da otto soci fra cui Comit (oggi Intesa), De Agostini della famiglia Boroli-Draghi (quelli dei libri, ma anche dei giochi Lottomatica) e Telecom Italia.
A spuntarla è proprio Ottobi sborsando poco più di 850 milioni, che corrispondeva ad una valutazione complessiva della società vicina a 1,65 miliardi. Dall’operazione di acquisizione, i nuovi soci, che vogliono alla guida di Seat Lorenzo Pelliccioli, ricavano, secondo quanto riferisce Il Sole24Ore, circa 700 milioni di dividendi. Non solo: dall’incorporazione dell’indebitata Ottobi in Seat emerge anche un disavanzo di fusione che permette di staccare un dividendo straordinario da un miliardo. Ed infine, il controllo di Seat viene ceduto alla Telecom, nel 2000, permettendo ai soci di intascare 6,7 miliardi, ben otto volte di più di quello che aveva incassato il Tesoro. La società è spolpata dalla casa, ma il debito è ancora sostenibile grazie ai flussi di cassa.
Successivamente la Telecom di Roberto Colaninno decide di unire Seat a Tin.it, ma le nozze durano poco perché nel 2003 si matura di nuovo la scissione fra Telecom Italia Media, ancora nelle mani della Telecom di Franco Bernabé, benché si discuta della sue cessione, e Seat Pagine Gialle spa, che viene venduta. Questa volta a comprare è Spyglass Spa, in cui convergono dei fondi di investimento come Permira, Cvc, Investitori associati e Bc partners.
Ancora una volta, il meccanismo è quello dell’acquisizione con il costo da accollare alla società preda Seat (il cosiddetto Lbo, Leveraged buy-out)che stacca una maxicedola da 3,6 miliardi, di cui 1,8 miliardi finiscono nelle tasche dei nuovi soci i quali cederanno poi anche il 12,4% della società in Borsa ricavandone altri 800 milioni. Intanto il debito, generato dai veicoli dei compratori che, per effettuare l’acquisizione, hanno ottenuto finanziamenti dando in pegno le stesse azioni Seat, cresce fino ad arrivare alla cifra esponenziale di 2,7 miliardi del 2011.
Di qui l’inizio dell’era della ristrutturazione del debito. Complice anche la crisi di mercato e un business che non è più quello di una volta e che non è stato capace di reinventarsi. Così il management, secondo quanto riferito dal quotidiano finanziario Mf, punterebbe ora a dimezzare il proprio debito senior portandolo attorno ai 750 milioni ripetendo l’operazione di ristrutturazione del debito varata ad agosto 2012 (quando il debito era di 2,8 miliardi) con gli obbligazionisti di Lighthouse senza esclude possa passare per un aumento di capitale da parte dei soci (Sothic capital managelment llp, Anchorage capital group llc, Morach alternative capital lp, Owl creek asset management e Giovanni Cagnoli).
E ora, mentre i cittadini non hanno più voce in capitolo, restano a protestare i piccoli azionisti: i legali dell’associazione Nuovo Mille hanno inviato ai vertici della società una lettera in cui chiedono un risarcimento danni e prospettano un’azione collettiva. I legali dell’associazione hanno anche chiesto alle autorità giudiziarie di far luce sul ”leverage buy out” che ha portato nel 2003 BC Partners, CVC Capital, Investitori Associati e Permira ad ottenere il controllo di Seat. Ma intanto il contante è svanito e sono rimasti solo i debiti.