Per l'amministratore delegato dell'Eni l'ipotesi è di corruzione internazionale nell'ambito dell'inchiesta Algerina. Perquisizioni a tappeto tra Roma e Milano, mentre il gruppo petrolifero crolla in Borsa
L’amministratore delegato di Eni Paolo Scaroni è indagato per corruzione internazionale nell’ambito di un’inchiesta su un affare in Algeria che coinvolge Saipem e la stessa Eni. La vicenda ha già portato alle dimissioni il vicepresidente e ad di Saipem, Pietro Franco Tali e il direttore finanziario Alessandro Bernini e alla sospensione cautelare del direttore dell’area Engineering&Construction, Pietro Varone. Secondo le indagini dei pm di Milano Fabio De Pasquale, Giordano Baggio e Sergio Spadaro, al centro della questione c’è una commessa di 11 miliardi di dollari e una maxi tangente da 197 milioni di euro. Il tutto gira intorno ai lavori del progetto Medgaz e del progetto Mle insieme all’ente statale algerino Sonatrach. Dopo che è uscita la notizia il gruppo petrolifero italiano è crollato in Borsa dove ha chiuso in calo del 4,62 per cento, mentre Saipem ha guadagnato il 5,26 per cento.
Secondo l’ipotesi accusatoria Eni e Saipem avrebbero pagato a una società di Hong Kong (Pearl Partners Limited) che fa a capo all’intermediario Farid Noureddine Bedjaoui, i quasi 200 milioni da distribuire a faccendieri, esponenti del governo algerino e manager Sonatrach. La Guardia di Finanza ha perquisito gli uffici di Scaroni a Roma, a San Donato Milanese e la sua abitazione di Milano. Secondo l’inchiesta l’amministratore delegato di Eni ha partecipato almeno a un incontro con Bedjaoui, per far aggiudicare all’Eni e alle sue società le commesse miliardarie. Oltre al nome di Scaroni la Procura accusa anche Eni e Saipem per via della legge 231 sulla responsabilità amministrativa.
Secondo gli inquirenti erano Varone e Bernini a comunicare con la Pearl Partners e dalle carte trovate dalle fiamme gialle sarebbero emersi legami economici tra Bedjaoui, rappresentante legale della società di Hong Kong con la ex moglie di Varone. Non solo: si vuole fare luce anche su alcuni versamenti all’azienda agricola di Varone di cui lo stesso Bedjaoui risulta socio. Avere Bedjaoui come amico, del resto, era fondamentale per operare in Algeria, secondo i pm.
“Siamo totalmente estranei”, ha detto all’Ansa Scaroni che nel curriculum ha un patteggiamento a 1 anno e quattro mesi nel corso del processo che negli anni novanta lo vedeva accusato di aver pagato tangenti al Partito Socialista Italiano per la centrale elettrica di Brindisi, per conto della Techint della famiglia Rocca di cui era presidente e amministratore delegato. La vicenda era stata oggetto di una lunga confessione del manager all’allora pm Antonio Di Pietro sul sistema di tangenti e le richieste, in particolare, del tesoriere del Psi, Vincenzo Balzamo.
“Ritengo più giusto che si arrivi a un chiarimento complessivo dei rapporti tra imprese e partiti onde superare questa fase di stallo che si è tradotta in una paralisi totale delle attività imprenditoriali e così riprendere il cammino sotto l’aspetto dell’efficienza e della trasparenza e quindi sotto il principio cardine dell’economia pur cui deve vincere il migliore e non il più raccomandato”, aveva tra il resto dichiarato Scaroni a Di Pietro.
Nell’inchiesta sulla presunta corruzione internazionale in Algeria sono indagate 8 persone: Scaroni, Varone, Tali, Bernini, Tullio Orsi, Antonio Vella e Nerio Capanna. E’ indagato anche Farid Bedjaoui, il presunto intermediario a cui era riconducibile la società di Hong Kong collettrice delle mazzette. Le presunte mazzette per un valore totale di “197.934.798” euro sarebbero transitate su conti in Svizzera, Emirati Arabi e Dubai. E’ quanto si evince dal decreto di perquisizione. Nell’atto della Procura si parla di “pagamenti effettuati a favore” di una società di Hong Kong su conti a Zurigo, a Fujarah negli Emirati Arabi e a Dubai.
Nel documento emerge che il presunto intermediario delle tangenti, l’algerino di nazionalità francese Farid Bedjaoui, avrebbe effettuato “versamenti” a favore “di un’azienda agricola” di Pietro Varone, direttore dell’area engineering di Saipem, indagato. Nel decreto si parla anche “dell’ingente dimensione economica della vicenda corruttiva” e del “coinvolgimento di numerose società del gruppo Eni” tra cui Saipem, Fcp, Snam Progetti, Saipem Portugal e Saipem Sa.