Antonio Bevilacqua non ha usato mezze misure per commentare la confessione del suo ex corridore. Più misurato l'ex team manager della De Nardi-Colpack Gianluigi Stanga, che dice di non saperne nulla. Gianni Mura: "Finché i controllori saranno corrotti il doping non si batterà mai"
“Gasparre? Un fallito che si inventa cavolate per far parlare di sé”. Non ha usato mezze parole Antonio Bevilacqua, ex direttore sportivo della De Nardi-Colpack, per commentare la confessione choc del ‘suo’ ex corridore, che ha ammesso al fattoquotidiano.it di aver fatto uso di vari tipi di droghe (epo, testosterone, ma anche cocaina) tra il 2003 e il 2004. Reazioni dure a parole dure. Non poteva essere altrimenti: Gasparre ha rivelato scomode verità, ha parlato di un meccanismo in cui i corridori, di solito additati come unici responsabili, sono soprattutto vittime. E adesso il mondo del ciclismo si interroga.
Gasparre non ha fatto nomi, non ha voluto accusare nessuno (per ora). Ma ha lasciato capire chiaramente, senza possibilità d’errore, che gli anni in cui ha fatto uso di doping sono stati quelli in cui correva per la De Nardi-Colpack. Direttore generale di quella squadra era Gianluigi Stanga. Un nome importante del ciclismo italiano, una carriera più che ventennale in cui ha diretto a lungo il Team Polti, chiusa nel 2007 alla Milram. Adesso, dopo aver lasciato il mondo delle due ruote, tenterà l’avventura in politica: è candidato al quinto posto nella circoscrizione di Bergamo per la Lista Civica Maroni Presidente, che sosterrà la corsa del segretario del Carroccio alla presidenza della Regione Lombardia. Al fattoquotidiano.it, Stanga si è detto stupito e deluso per le rivelazioni di Gasparre: “Mi cogliete alla sprovvista, cado davvero dalle nuvole. Gasparre me lo ricordo: lo prendemmo dalla Mapei, è stato da noi un paio d’anni, senza fare grandi risultati. Non avevo idea che si dopasse. Poi leggo che faceva anche uso di cocaina, siamo messi male…”.
La versione di Stanga è ben diversa da quella di Gasparre: “Ho fatto ciclismo per 25 anni, non ho mai avuto a che fare con problemi di doping, con controlli falsati, con nessuno di questi tipi di discorsi. Figuriamoci alla De Nardi, che era una squadra piccola, di giovani, senza grandi ambizioni. Mi suona tutto molto strano”. L’ex dg della De Nardi ha respinto ogni possibile collegamento personale con la vicenda: “Sicuramente non sono stato io a fargli il nome di quel dottore: del resto, non rientrava tra le mie competenze occuparmi della preparazione dei corridori. Né credo che l’abbiano fatto i direttori sportivi che erano con me. Anche se – ha aggiunto – non mi sento di escluderlo del tutto, se ne sentono tante di questi tempi. Se Gasparre ha detto certe cose avrà avuto le sue ragioni. Posso solo dire – ha concluso – che sentire queste cose mi amareggia profondamente. Comunque sia andata davvero”.
Molto più pesante, invece, è stata la reazione di Antonio Bevilacqua, ex ds della De Nardi. “Sono tutte cavolate che uno si inventa quando è un fallito per avere un briciolo di notorietà. Dopo dieci anni uno se ne viene fuori con ‘ste balle. Se ha fatto qualcosa sono cazzi suoi, ora si arrangi. Non permetterò a nessuno di collegarmi direttamente o indirettamente a questa storia”. Dopo lo sfogo (“Scusatemi, ma sono cose che fanno venire il nervoso”), Bevilacqua è tornato al ricordo di quegli anni alla De Nardi: “Quello che dice Gasparre è fuori dal mondo. Le squadre hanno regolamenti precisi, un corridore non può neanche frequentare un altro preparatore, oltre al medico sociale della squadra, altro che doping e consigli del dirigente. Avrà fatto tutto da solo, perché se lo avessimo scoperto lo avremmo buttato fuori immediatamente. La verità è che i ciclisti si rovinano da soli, e poi dopo anni accampano scuse”.
Meno sorpreso, invece, è stato Gianni Mura, firma storica del ciclismo italiano: “Purtroppo è una storia normale, per il ciclismo: già altri dilettanti prima di Gasparre si sono trovati nel dilemma se accettare il sistema o smettere”. Mura non si meraviglia nemmeno della dipendenza dalla cocaina, dalla cui dipendenza più d’un ciclista è rimasto vittima negli ultimi anni: “Anche quella fa parte del repertorio: la cocaina non è doping in senso stretto, è un tiramisu. Già in un’intervista al Tour de France del ’24, i fratelli Pellissier parlavano della neige, la polvere bianca che li teneva su. Negli anni Novanta, soprattutto in Belgio, andava di moda un cocktail di anfetamine, cocaina, epo e ormoni. La cocaina non fa andare più forte come l’epo, ma è presente nel ciclismo. E probabilmente ha anche conseguenze diverse, rispetto alle altre sostanze…”. Del racconto di Gasparre, però, Mura è rimasto colpito soprattutto dalla storia dei finti controlli a sorpresa, che in qualche modo conferma i sospetti già emersi in occasione del caso Armstrong. “E’ certamente grave che un atleta si droghi. E’ ancora più grave che esistano le soffiate che avvertano i corridori dei test. Il problema di base – e vale per il ciclismo, come per il caso di Montepaschi o dell’Ilva a Taranto – è quello dei controlli: finché i controllori saranno corrotti il doping non si batterà mai”, ha concluso Mura.