Irritazione e incredulità oltre le Alpi per l’annuncio choc del leader del Pdl. Interrogazione al ministro delle Finanze Schlumpf per stanare la promessa del Cavaliere, mentre i quotidiani di Berna vanno alla carica: "Chi dei due sta bluffando?". Anche il centro-destra svizzero prende le distanze dal Pdl. Il consigliere economico dell'ambasciata in Italia gela: "Accordo? Si può fare, ma mancano i fondamentali e zero anticipi per l’Italia”
Chi dei due sta bluffando?”. Se lo chiede oggi il tabloid svizzero “Le Matin” con una foto di Silvio Berlusconi e del potente ministro delle finanze elvetico, la tetragona Eveline Widmer-Schlumpf. Segno che dopo la sorpresa cresce il malumore al di là delle Alpi per l’uscita di Berlusconi su un imminente accordo fiscale sui forzieri elvetici con cui restituirà l’Imu agli italiani. Una vicenda tutta da ridere, se non rischiasse di incrinare i già fragili rapporti di vicinato tra Italia e Svizzera.
L’annuncio-choc di domenica scorsa è stato accolto come una sciocchezza a Berna, tanto da non meritare neppure una smentita. Ma ora sta creando non pochi problemi alle autorità elvetiche, dal governo in giù e fino al partito radicale-liberale FDP che nel PPE è seduto accanto al Pdl, ma in questi giorni preferirebbe sedere altrove. Si sono fatte più insistenti nei giorni scorsi le domande dei giornalisti e dei politici all’indirizzo del governo confederale. Due giorni fa, ad esempio, la deputata della Commissione Finanze della Svizzera, Ada Marra, ha scritto un’interrogazione al ministro delle Finanze chiedendo di smentire ufficialmente le dichiarazioni dell’onorevole italiano o in caso contrario spiegare perché un evoluzione della trattativa sia stata nascosta all’organo parlamentare competente per tutti i trattati di imposizione fiscale. “In commissione non risulta alcunché”, spiega Marra al Fattoquotidiano.it. “L’onorevole Berlusconi ha fornitostime molto precise sul gettito dell’operazione, chiedo allora di sapere sulla base di quali elementi ha potuto calcolare i benefici di tale accordo”.
Dal Ministero svizzero confermano l’interrogazione ma bocche cucite sul resto e grande imbarazzo. Arriva dagli uffici di Berna una risposta abbottonatissima del servizio stampa che non conferma alcun nuovo accordo, neppure un abboccamento. “Risponderemo quando avremo l’interrogazione”, dicono. Ma dietro le quinte dell’ufficialità trapela lo sconcerto per l’uscita a sorpresa, soprattutto per gli importi dichiarati da Berlusconi, vero casus belli di tutti gli accordi bilaterali sulla “Weissgeldstrategie”, la strategia del denaro pulito. Il leader del Pdl ha parlato con grande sicumera di 25-30 miliardi di euro subito e 5 miliardi di euro all’anno. Cifre che persone vicine alle nogoziazioni fiscali ritengono esagerate e fantasiose, spiega Le Matin.
A indispettire sono anche le implicazioni politiche dell’entrata a gamba tesa di Berlusconi. La sua uscita, infatti, anziché agevolare complica i rapporti tra Italia e Svizzera su una possibile intesa. E non sfugge neppure aldilà delle Alpi il fatto che, al momento, l’unico a trarne un beneficio è stato lo stesso Berlusconi che non ha portato a casa un euro ma un punto in più di consenso nei sondaggi. Una mossa troppo spregiudicata, a quanto pare, anche per il centro-destra elvetico che si sfila e non offre alcuna sponda a Berlusconi. Difficile trovare qualcuno che si prenda la briga di commentare. Il presidente del Senato di Berna, Filippo Lombardi, contattato dal Fatto preferisce non commentare e rimanda a Fulvio Pelli, consigliere liberale-radicale e membro della commissione finanze che si negherà tutto il giorno. Il segretario generale del partito Stefan Brupbacher giura di non saperne nulla e attende la risposta del ministro che è espressione della FDP.
La butade di Silvio irrita anche le diplomazie. L’ambasciatore svizzero Bernardino Regazzoni non parla ma affida il compito al consigliere economico Stefano Vescovi che i negoziati li ha seguiti da vicino. Allora questo accordo c’è? Incasseremo tutti quei soldi dalla regina delle roccaforti del segreto bancario? “Chiederlo adesso è come domandarmi se abbiamo fatto la torta con la panna, prima bisogna fare la torta”.
In altre parole un accordo c’è, ma è lo stesso su cui si lavora dal 2009. “Teoricamente ci si potrebbe fare anche due mesi – spiega Vescovi – il problema è che le stesse condizioni quadro dell’accordo sono ancora tutte da definire: a partire dalla consistenza dei patrimoni occulti, dai tassi applicati e dai tempi dell’accordo”. Restano poi sul tavolo le condizioni poste dalla confederazione: il mantenimento della privacy sui conti correnti, la cancellazione dalla black-list, l’apertura del mercato del credito italiano alle banche svizzere e la rinegoziazione dell’accordo Ocse sulla doppia imposizione come avvenuto con 45 Paesi. “Nel frattempo però quattro anni si son persi e poi c’è il rebus del voto in Parlamento”, dice. E il tempo, soprattutto da queste parti, è denaro. “Oggi, per dire, non siamo più nelle condizioni di fornire un anticipo di qualche miliardo, come abbiamo fatto con l’Inghilterra e la Germania alle quali abbiamo dovuto dimostrare immediati benefici dell’accordo. Ora il sistema è rodato, chi viene prima è servito meglio”. Neppure un anticipo, dunque. Altro che 30 miliardi subito.