L'imprenditore piemontese si difende dall'accusa di essere un 'piccolo Berlusconi': "Con lui ho rotto 20 anni fa. Sono un editore e vendo pubblicità. Quelli di Telecom mi conoscono". E intanto chiede un aiuto al venditore, chiedendogli di finanziare parte dell'acquisto
Urbano Cairo è il più probabile acquirente de La7, e già in queste ore potrebbe divenirne proprietario. I tratti del suo carattere, sempre gioviale, sono a volte rumorosi. È ambizioso, simpatico, alla mano. Creativo il doppio: ha proposto al venditore di finanziargli in parte l’acquisto. Ha ottime amicizie sulle spalle. L’appuntamento con lui è al caffè Sant’Ambreus, dietro piazza San Babila.
“Mi infastidisce quando leggo che sono l’amico di B., il berluschino che tira via La7 alla democrazia per riporla nelle mani del tycoon onnivoro. Va a finire che a furia di dire certe cose ci crediate voi e qualcun altro, perciò sento il bisogno almeno di illustrarvi la mia vita. Io con Berlusconi ho chiuso nel 1995, non l’anno scorso. Sono stato il suo assistente è vero e ho riconoscenza per l’uomo. Lei mi dice: portava a spasso la signora Veronica, le faceva finanche da autista. Ma ha idea di quanti anni sono passati? E ha idea di cosa è successo dopo? Poi le ricordo che sono stato licenziato da Mondadori (da Tatò più che da Dell’Utri). Licenziato. Mi trovi un intimo di B. che abbia subìto eguale trattamento. E me ne trovi un altro che – da licenziato – si rimbocca le maniche e si mette a costruire da zero la sua impresa multimediale: vendo pubblicità su ogni mezzo di comunicazione, sono editore di un numero elevato di periodici, da quelli più pop a marchi prestigiosi, sono presidente di una squadra di calcio. Mi si accusa che così sembro proprio un piccolo B.? Non posso vietare che anche lei lo pensi, affari suoi. Però è falso.
Amo la televisione e ancor di più i giornali. Anzi, a dirla tutta mi sarebbe piaciuto fondare un quotidiano. Non ho trovato il giornalista giusto, poi la crisi economica si è messa di mezzo e mi sono arreso all’evidenza. Su La7 non dico nulla di più, non ho alcun titolo e non mi piace parlare del futuribile. Quella televisione ha un palinsesto prestigioso, ma un conto economico difficile. Perciò ho chiesto un piccolo aiutino al venditore per far fronte all’acquisto. Sì, dei soldi. Tolgo a Telecom l’asset più pesante lasciando nelle sue mani il multiplex, dove si fanno i soldi. Mettersi sulle spalle quel gigante d’argilla è un’impresa che necessita ardore e sprezzo del pericolo, una sfida assoluta. A me può riuscire. Come quando comprai la Giorgio Mondadori, o divenni concessionario di due settimanali della Rizzoli. Feci l’offerta non avendo neanche un ufficio, un dipendente. Sentivo che l’impresa mi avrebbe affascinato.
E riesco a organizzare i pensieri e le azioni solo camminando. Vede questo aggeggio? È un contapassi. All’autista chiedo di seguirmi, e mentre cammino la mia mente è al lavoro. Ieri ho camminato poco, ma l’altro giorno tre miglia, e il giorno prima una e mezzo, e prima ancora… Se non cammino non penso, se non penso non costruisco. Più dei soldi mi sazia l’ambizione del progetto: vedere cosa ho fatto e cosa riesco ancora a fare. Non mi voglio misurare con Berlusconi, lui è di un’altra età e ha lavorato in altre condizioni (e se proprio, un tycoon ancora più grande c’è e si chiama Murdoch). Capisco però le assonanze possibili. Ma sono fortuite.
Vogliamo parlare del calcio? Ho acquistato il Torino per amore. C’è, è vero, il ricasco pubblico, l’espansione dell’immagine, ma insomma: ho messo 60 milioni di euro nel Toro. Il sentimento costa. Ah, dimenticavo: non ho mai licenziato nessuno. Come? Uso le stesse parole di Berlusconi? Non mi riguarda, sono fuori e lontano dalla sua politica, non mi ha mai visto nei convegni di Forza Italia e non mi vedrà. Non so se venderanno La7 a me, ma penso di sapere esattamente cosa fare, e come. E di poter garantire solidità finanziaria e nessuna ombra sulla linea editoriale: Mentana e Santoro per me sono inamovibili. E lo dovrebbero essere per chiunque la compri. A La7 mi conoscono, gli vendo la pubblicità. Quando sono arrivato i ricavi erano fermi a 40 milioni di euro; con me sono saliti a 160. Ah Stella, l’ex amministratore delegato che ha impugnato il contratto, per due volte lo ha sottoscritto. E mi sento di dire che con Urbano Cairo hanno ricevuto molto oltre il prevedibile e solo grazie al fatto che ho garantito e raggiunto performance straordinarie. L’ho fatto perché Urbano Cairo pensa a come far crescere la sua azienda e come dar filo da torcere alle altre, si chiamassero un domani pure Mediaset. Non mi sembra però tantissimo convinto. S’è fatto tardi, buonasera”.
Da Il Fatto Quotidiano del 7 febbraio 2013