Sul piatto il maxi dividendo atteso per aprile. Moderata la reazione in Borsa all'offerta del costruttore romano finanziato da banca Intesa Sanpaolo che ha in pegno il 15% di Impregilo
Più 4,47 per cento a 4,02 euro. Questa la reazione moderatamente composta del mercato all’Offerta pubblica di acquisto per Impregilo a 4 euro per azione lanciata mercoledì 6 a Borsa chiusa da Pietro Salini che già detiene oltre il 29% delle quote del costruttore vincitore, tra il resto, dell’appalto per il Ponte sullo Stretto di Messina. Ancor di più è salita Astm, la società dell’Autostrada Torino-Milano controllata dal gruppo Gavio che ha in pancia Igli, alla quale fa capo l’altro 29,9% di Impregilo: il titolo è salito del 6,20% finale a 8,56 euro sul possibile guadagno di 68 milioni lordi in caso di adesione all’Opa.
Secondo quanto riportato dall’Ansa, per il gruppo piemontese al momento tutte le strade sono aperte, mentre è improbabile l’ipotesi di una contro offerta. L’ex socio di controllo di Impregilo da mesi impegnato in un braccio di ferro con Salini, confida piuttosto in un ritocco del prezzo da parte dei Salini se in Borsa la quotazione del titolo si assesterà sopra i 4 euro. Il punto chiave è il prezzo: se Gavio aderisse all’Opa avrebbe una plusvalenza, ma dovrebbe rinunciare al maxi dividendo che Impregilo si prepara a distribuire in primavera grazie alla vendita della brasiliana Ecorodovias.
In ogni caso, l’Opa è solo la mossa intermedia per arrivare alle agognate nozze fra il gruppo di costruzioni presieduto dallo stesso Salini di cui porta il nome e Impregilo. “La fusione tra Impregilo e Salini non si riesce a realizzare per la manifesta indisponibilità di un socio al 30% (Gavio, ndr) – aveva spiegato il 18 ottobre a Repubblica il costruttore romano – ma credo al progetto anche se qualcuno cerca di spargere veleni su questo argomento e io ricevo secchiate di fango ogni mattina”.
L’Offerta di acquisto è l’ultimo atto di un percorso fatto finora tutto grazie al supporto di Banca Intesa. L’offerta, infatti, sarà finanziata a debito grazie al supporto di Banca Imi (gruppo Intesa Sanpaolo) e la francese Natixis con la consulenza di Rothschild. Ma già in passato, Salini aveva acquistato buona parte delle azioni Impregilo dandole in pegno proprio all’istituto guidato per tanti anni da Corrado Passera, attuale ministro delle Infrastrutture.
“L’investimento in azioni Impregilo è stato effettuato utilizzando mezzi propri di Salini – spiegava il supplemento di informazioni richiesto dalla Consob per la sollecitazione delle deleghe di voto all’ultima assemblea del gruppo – ossia le disponibilità liquide esistenti presso il promotore. Solo una parte delle azioni Impregilo detenute da Salini (n. 60.368.700, pari al 15% del capitale sociale di Impregilo) è gravata da pegno” e “il diritto di voto spetta a Salini”. Dall’operazione di pegno che prevede un’opzione di rientro in caso di ribasso eccessivo in Borsa, Salini aveva ricavato 108 milioni, investiti nell’acquisizione della quota del 29% di Impregilo.
In altre parole, più della metà dei titoli di proprietà del costruttore romano sono in mano alla banca presieduta da Enrico Cucchiani. La stessa che ora garantirà parte del sostegno finanziario all’Opa che sarà poi rimborsata con la stessa liquidità che Impregilo ha in cassa (circa 1 miliardo contro un’offerta da 1,1 miliardi grazie alla cessione della sudamericana Ecorodovias per 925 milioni).
Se il gruppo Gavio, che ha in bilancio le azioni Impregilo a 3,65 euro per azione, dovesse accettare la proposta di Salini, allora incasserebbe 470 milioni con un premio del 10%, ma dovrebbe appunto rinunciare al maxidividendo da un miliardo di euro che Salini staccherà dopo la fine dell’Opa prevista per il prossimo 15 aprile. In pratica, Gavio dovrebbe rinunciare ad una cedola da 300 milioni. Prospettiva che, naturalmente, non è molto gradita al gruppo torinese che si è visto sfilare il controllo di Impregilo con un paio di assemblee dell’estate scorsa. Senza contare che, nel conteggio della liquidità di Impregilo, non si tiene conto della partita del Ponte sullo Stretto dalla quale il contractor, capofila del consorzio Eurolink, punta ad ottenere il pagamento di una penale da 500 milioni.
Sullo sfondo restano poi le indagini del pm di Milano Isidoro Palma che ha iscritto nel registro degli indagati per aggiotaggio Pietro Salini, in veste di amministratore delegato di Impregilo e di Salini Costruzioni, Massimo Ferrari, direttore affari generali di Salini, Joseph Oughourliam, cofondatore del fondo Amber e Umberto Mosetti, rappresentante in Italia del fondo di investimento. E poi il giallo sull’eventuale azione di concerto di Salini con il fondo Amber, cui fa capo il 7 per cento di Impregilo, in relazione all’assemblea dello scorso 17 luglio che avrebbe consentito a Salini di diventare nuovo dominus di Impregilo, e l’altalenante andamento del titolo agli inizi del mese di settembre.
Ma è chiaro che se l’Opa di Salini appena lanciata su Impregilo dovesse andare a buon fine, le ire di Gavio si placherebbero. Almeno in parte dal momento che a Tortona avrebbero preferito l’ipotesi di spartizione degli asset nel portafoglio di Impregilo portando a casa il marchio e le concessioni e lasciando a Salini le costruzioni con il Ponte sullo Stretto. La partita Impregilo è tuttavia importante da chiudere anche per Gavio – che a fine dicembre è stato l’unico concessionario di autostrade a non vedersi attribuire gli aumenti sulle tariffe – perché si eviterebbero laute parcelle agli avvocati e una battaglia che alle lunghe danneggerebbe Impregilo.
Quanto Pietro Salini, che figura fra i primi sostenitori finanziari della lista di Mario Monti, l’affare Impregilo è solo un tassello di un business molto internazionale (i ricavi 2011 dalle commesse in esecuzione all’estero, il cui peso specifico sul totale dell’anno è pari al 77%) grazie a grandi progetti coma la diga etiope Gibe III alta 243 metri collegata ad una centrale idroelettrica sul fiume Omo e il Grand Ethiopian Renaissance Dam, la più grande diga d’Africa strumentale al progetto del governo africano di fare del Paese il punto di riferimento per l’energia idroelettrica.
Salini del resto conosce bene il continente africano. Fu laggiù che, negli anni ’60, iniziò, grazie al sostegno della Democrazia Cristiana e della Chiesa, la costruzione del gruppo grazie ad una commessa, fortemente voluta da Giulio Andreotti, per la realizzazione di 250 chilometri di strada, 50 ponti, 200 chilomentri di acquedotto e la bonifica di 20mila ettari a Tana Beles, località distante poco più di un migliaio di chilometri di Addis Abeba. I costruttori romani, del resto, non sono i soli italiani a cercare fortuna in Etiopia. Attorno alla Italian business community association ruotano circa 200 imprenditori fra cui Fiat, Siemens Italia, Selex (Finmeccanica) e Alcatel Italia. Fra queste c’è anche Sorgent.E, società nel cui capitale l’allora presidente della Compagnia delle Opere, Graziano Debellini, traghettò il fondo statunitense Amber con una quota del 25 per cento.