Piergiovanni Alleva, ordinario di Diritto del lavoro all'università di Ancona e candidato, è secondo in lista al Senato in Campania per il movimento di Antonio Ingroia. Sostiene la necessità del reddito minimo garantito e degli ammortizzatori sociali estesi anche ai precari
Dalla vicenda Fiat di Pomigliano e del Lingotto, alle emergenze occupazionali del dell’Ilva di Taranto, del Sulcis e dell’Alcoa, passando per il problema degli esodati, il lavoro è stato il tema centrale in questi mesi, e lo è in questa campagna elettorale. Ma non abbastanza si è parlato dell’emergenza della disoccupazione giovanile e del precariato sulle quali la politica abbozza delle risposte ma sembra incapace di fornire soluzioni risolutive. Anche il dibattito sulla riforma del lavoro della ministra Fornero, entrata in vigore in estate si è concentrato in gran parte sulle modifiche all’articolo 18 e sul problema degli esodati.
Nel frattempo la disoccupazione giovanile sale: dal 20,3% del 2007 al 36,6% di dicembre. Chiediamo ai principali candidati alle elezioni, quali sono le proposte che attueranno in caso di vittoria, partendo dalla necessità o meno di un contratto unico di lavoro per tutti, all’introduzione del reddito minimo di disoccupazione, passando per i problemi del pubblico impiego, che accentua il dualismo tra lavoratori protetti e non che caratterizza, rispetto ai partner europei, il mercato del lavoro italiano.
“L’abuso è generale e oggi è vergognoso, il 93% delle assunzioni è con contratti precari, sarebbe come dire che il 93% delle assunzioni corrispondono a esigenze lavorative temporanee, non è possibile. Ritornare al contratto a tempo indeterminato per tutti e senza indugi”. Non ha dubbi Piergiovanni Alleva, ordinario di Diritto del lavoro all’università di Ancona e candidato, secondo in lista al Senato in Campania per Rivoluzione civile. È suo il programma sul lavoro e welfare della lista guidata da Antonio Ingroia. È responsabile della consulta giuridica della Cgil.
Cosa si deve fare per contrastare la precarietà, in particolare quella giovanile?
La nostra proposta è di due tipi, una di merito e l’altra di strumenti. Per quanto riguarda il merito dobbiamo fare una revisione dei tipi di contratti. I contratti diversi da quelli a tempo indeterminato devono esistere nella misura necessaria. Per esempio l’apprendistato è giusto che continui ad esistere, così come il contratto a termine, ma quando la necessità è effettivamente temporanea come con la maternità.
Bisogna estendere il contratto a tempo indeterminato a tutti?
Sì, come dice la direttiva europea numero 70 del 1999, la numero 70, la forma normale deve essere il contratto a tempo indeterminato e le eccezioni vanno giustificate. Però serve un controllo preciso. L’abuso è generale di oggi è vergognoso. Sappiamo che solo il 13-15% di contratti a termine rispetta la normativa, il resto è abuso. E questi contratti dovrebbero essere trasformati a tempo indeterminato. Non succede perché il lavoratore ha paura e non c’è trasparenza. Ci vorrebbe un’anagrafe del lavoro pubblico in modo che tutti possano conoscere la struttura occupazionale dell’impresa. I dati ci sono già ma sono segreti. Ce li hanno i Centri per l’impiego a cui le aziende devono fare obbligatoriamente denuncia del lavoratore assunto (con qualsiasi tipo di contratto) entro 5 giorni.
Prevedete una riforma degli ammortizzatori sociali, un reddito di cittadinanza?
Naturalmente sì. Attenzione però, il discorso va articolato. L’ammortizzatore sociale è qualcosa che deve esser collegato al lavoro, quindi va esteso a tutti i lavoratori, anche precari. Accanto ai sussidi di tipo assicurativo, basati su una contribuzione del lavoratore, ci deve essere il reddito minimo garantito.
Quindi nel primo caso paga l’Inps mentre per gli altri è lo Stato che deve reperire le risorse?
Esatto. C’è in tutta Europa, a parte Italia e Grecia. Si tratta di un cambio importante, che ci svincola da un sistema di welfare, il nostro, di origine assicurativa e corporativa.
Pensate a tagli e mobilità per i lavoratori del settore pubblico?
Nel settore pubblico lo Stato prende in giro se stesso, si mettono dei limiti e poi si evadono. Da una parte ci sono dei blocchi assuntivi drastici e dall’altro si assume un sacco di gente precaria perché abbiamo ancora la pianta organica, che ormai è preistoria: assumere a tempo indeterminato è considerata una spesa fissa e non va fatta, mentre assumere un precario è considerata una spesa corrente, come comprare la carta igienica. Oggi si assume un precario ma non lo si può regolarizzare.
La vostra proposta qual è?
Noi puntiamo a una vera unificazione del mondo del lavoro. Dobbiamo toglierci dalla subcultura autoritaria che risale a Mussolini, che sul pubblico facciamo controlli sulla legittimità del singolo atto, invece che di risultato. I controlli sui risultati devono essere severi, come nelle aziende private, un debito spaventoso, per esempio, dove essere punito. Questa rivoluzione nella pubblica amministrazione è più che matura, tutta la dottrina è d’accordo su queste cose. Con la legge Brunetta si è tornati indietro: è un problema politico ma anche culturale, bisogna trovare alleanze trasversali. (LAP)