La polvere sotto il tappeto di Fondiaria Sai, anche quella di Atahotels, non porta solo la firma della famiglia Ligresti. Questo sospetto la Procura di Milano lo coltiva da tempo. E ora Il Fatto Quotidiano ha potuto ricostruire una nuova vicenda che si incastra a perfezione con l’ipotesi investigativa di Luigi Orsi, il pm da mesi al lavoro per ricostruire gli eventi e le relative responsabilità – non solo dei Ligresti – che hanno portato al collasso la galassia della famiglia siciliana che fino a poco tempo fa presidiava gli snodi chiave del sistema finanziario: dal Corriere della Sera, agli Aeroporti di Roma, passando per Mediobanca, Pirelli e Generali. Tutte proprietà che con l’estromissione dei Ligresti dalle società quotate nel 2012, sono state traghettate nelle mani di Unipol con la mediazione interessata di Mediobanca, che dei Ligresti era il principale creditore per oltre 1 miliardo di prestiti subordinati (ma che aveva una partita aperta con le coop cui aveva prestato centinaia di milioni).

Nella seconda metà del 2011, quando Fondiaria era ormai nelle mani dei creditori e, quindi, disperatamente impegnata a fare cassa per far fronte all’urgente necessità di liquidità, sul tavolo dei vertici della compagnia venne presentata un’offerta per la maggioranza del gruppo alberghiero Atahotels. Un colpo di fortuna insperato, che avrebbe tamponato l’emorragia di soldi che la catena alberghiera stava (e sta tuttora) causando al polo assicurativo. Ma che è stata lasciata cadere a fronte di nessuna alternativa. E gli investitori poi hanno dovuto mettere mano al portafogli per ricapitalizzare il gruppo. Sulla carta l’offerta, formulata da un importante gruppo alberghiero straniero, prevedeva l’acquisto iniziale della maggioranza di Atahotels con il subentro immediato nella gestione della struttura che tanti danni ha creato alla compagnia prima e dopo il suo passaggio dal controllo diretto dei Ligresti a quello di Fondiaria. L’ultimo conto, una perdita di 14 milioni nei primi nove mesi del 2012 dopo il rosso di oltre 23 milioni del 2011, è infatti solo la punta di un iceberg alla deriva, ma di cui i pretendenti erano pronti ad accollarsi oneri e onori. Non solo. La proposta degli stranieri prevedeva anche un interessante contratto di opzione di acquisto del patrimonio immobiliare alberghiero del gruppo, il cui controvalore nel bilancio 2011 di Atahotels è stato stimato in circa 500 milioni. L’opzione sarebbe scaduta un anno dopo il subentro nella gestione da parte del compratore, che avrebbe avuto così il tempo di fare le sue valutazioni indipendenti sulla proprietà.

Non è però dato di sapere quali siano state le valutazioni in merito dei vertici di FonSai all’epoca guidati da Emanuele Erbetta, né tanto meno quelle dei consulenti-creditori di Mediobanca che hanno incontrato i potenziali compratori a Milano nella sede della compagnia, senza poi dare seguito alla proposta a stretto giro come invece richiedeva l’acquirente che si è quindi rivolto altrove. Dell’offerta e della riunione non c’è traccia nelle corpose relazioni sul disastro che la catena alberghiera ha provocato al gruppo che sono state pubblicate nell’ultimo anno. Inclusa quella del 5 febbraio firmata dal commissario ad acta di FonSai, Matteo Catarozzolo, che ha chiesto un’azione di responsabilità nei confronti dei Ligresti e di buona parte degli ex amministratori del gruppo, per via delle numerose operazioni in conflitto d’interesse (a favore di società dei Ligresti e degli stessi membri della famiglia siciliana) che hanno causato al polo assicurativo “un danno ingentissimo” da centinaia di milioni. A partire proprio dalla vicenda Ata, le cui tappe dagli albori al 2011, vengono ripercorse puntualmente.

Eppure è stato proprio poco dopo l’offerta ignorata per gli alberghi, che Fondiaria Sai ha annunciato una maxi ricapitalizzazione e la sua controllante quotata Premafin ha siglato un accordo vincolante per il passaggio di tutto il gruppo tra le braccia di Unipol. Quello andato in porto quest’estate dopo mille traversie, tra le quali una dura battaglia con il fondo Sator di Matteo Arpe e il suo alleato Palladio o le ingenti ricapitalizzazioni funzionali alle nozze che soltanto ai risparmiatori-azionisti della compagnia delle coop hanno causato l’azzeramento di oltre 300 milioni di investimenti. E mentre i magistrati di Milano e Torino tirano le somme di una lunga e complicata storia, Atahotels è ancora di proprietà Fondiaria. Tra le attività da vendere.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 febbraio 2013

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