Il comunismo ha fallito. A dirlo è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, a lungo dirigente del Pci (sia pure dell’ala destra). Il giudizio storico del capo dello Stato è affidato a un intervento sull’Osservatore Romano che fa parte di una raccolta di scritti (“Praedica verbum”), pubblicata in onore del settantesimo compleanno del cardinale Gianfranco Ravasi. “Certo, è stato impossibile – se non per piccole cerchie di nostalgici sul piano teoretico e di accaniti estremisti sul piano politico – sfuggire alla certificazione storica del fallimento dei sistemi economici e sociali d’impronta comunista” scrive Napolitano. Nel suo intervento sul giornale del Vaticano il presidente si è concentrato sul rapporto tra etica e politica parlando chiaramente delle fine delle ideologie, a partire da quella comunista, ma non dimenticando che dall’altra parte si affermò anche un certo “fondamentalismo di mercato”.
Sempre sulla fine del comunismo, Napolitano ha parlato del “rovesciamento di quell’utopia rivoluzionaria che conteneva in sé promesse di emancipazione sociale e di liberazione umana e che aveva finito – come, con fulminante espressione, disse Norberto Bobbio – per capovolgersi, nel convertirsi di fatto nel suo opposto”. In parallelo, aggiunge il presidente, “l’ideologia conservatrice è sopravvissuta alla fine del comunismo, assumendo sempre più le sembianze di quel ‘fondamentalismo di mercato’, tradottosi in deregulation e in abdicazione della politica, che solo la crisi finanziaria globale scoppiata nel 2008 avrebbe messo in questione”.
Napolitano sollecita, nel suo scritto, la “rinascita della componente ideale e morale” della politica. Tale rinascita deve essere basata dal recupero degli ideali di libertà e di giustizia sociale. Si tratta di “secernere dalle ideologie contrapposte” del ‘900 i loro “riferimenti positivi”.