Dopo i chioschi e i bar nel mirino della tassazione comunale anche i grandi spazi privati sulla spiaggia. Insorge il Pdl: "Sanno solo inventare e aumentare le tasse"
Finisce la ‘pacchia’ per i bagnini a Rimini? Chissà. Il Comune vuol dare il suo contributo con una trovata destinata a far discutere: bagnini e operatori balneari vari dovranno pagare l’Imu anche sulle cabine e ombrelloni, come già la pagano sui chioschi e sui bar.
L’annuncio l’ha dato personalmente l’assessore al Territorio della giunta del sindaco Pd Andrea Gnassi, Roberto Biagini, che fra l’altro vuol dire basta con i canoni quasi gratis che si pagano (in Italia) per ottenere le concessioni balneari. La ratio è una: capitalizzare sulla sabbia, riordinare la materia facendo un po’ di cassa. “Dal momento che è il pubblico interesse che guida l’attività amministrativa, io credo che ogni amministratore di un Comune che abbia nel proprio territorio fasce di demanio marittimo, e a maggior ragione chi ha l’onore e il privilegio di amministrare Rimini, non possa non rendersi conto quale fonte di entrate per le casse pubbliche si riveli essere il ‘bene di tutti’ demanio marittimo”, avanza Biagini.
In sostanza, il Comune vuol riprendere le trattative interrotte con la burocrazia regionale (agenzia del Territorio e agenzia del Demanio) per verificare quali siano stati gli impedimenti che finora hanno comportato “l’impossibilità di arrivare all’accatastamento delle cabine e all’attribuzione di rendita alle fasce d’ombreggio”. Sì, perché prima di tassare beni del genere bisogna accatastarli. I chioschi da 60 metri quadri, tanto per dire, sono classificati come negozi e botteghe e i loro titolari pagano in media 660 euro all’anno di Imu e fino a 1.700 per quelli più grandi. Poca o pochissima roba, ma su cabine e ombrelloni al momento non si paga nulla. Una volta riannodato il filo con Territorio e Demanio, poi, se il governo dovesse accelerare l’emanazione dei decreti attuativi del federalismo fiscale-demaniale a favore degli enti locali, “i benefici per tutti noi cittadini a livello di opere e servizi pubblici risulterebbero evidenti e sotto gli occhi di tutti”, precisa l’assessore auspicando più autonomia anche impositiva.
I numeri in questa partita non sono mai stati dalla parte dei bagnini: per uno stabilimento di otto mila metri quadri sono sufficienti 10 mila euro di canone annuo, per i chioschi-bar i costi variano da 400 a 700 euro in base all’area occupata. Per i locali caratterizzati dalle cosiddette pertinenze, ovvero le concessioni balneari ‘pesanti’ che includono discoteche, piscine o attrazioni come il delfinario riminese, i canoni sono schizzati a quote (quasi) di mercato con la finanziaria Prodi del 2007 (incrementi da 30 mila a 150 mila euro annui), ma il sistema resta una giungla. Da un’indagine della Corte dei conti (l’ultima disponibile in materia è datata 2009) e da dati del Demanio è emerso che in Italia soltanto il 49% dei Comuni costieri si era uniformato nel 2008 alle prescrizioni della finanziaria Prodi del 2007 e nessuna Regione, anche quelle con coste e spiagge di riconosciuta attrattività, aveva deliberato l’adozione delle tariffe previste per “l’alta valenza turistica” (l’Emilia Romagna ha poi successivamente provveduto con la legge 8/2009).
Sta di fatto che per la giunta Gnassi è ora di cambiare registro. Le prime critiche arrivano dal Pdl, per iniziativa del candidato riminese alla Camera Sergio Pizzolante: “Noi abbiamo l’ossessione di togliere le tasse, loro di aumentarle. È la filosofia di questa amministrazione, tassa di soggiorno, addizionale Irpef e Imu fra le più alte d’Italia, maxi canoni, maxi Imu, maxi tariffe Hera, maxi multe. Si sa, Biagini e Gnassi sono uomini fantasiosi e creativi ma con la tassa sugli ombrelloni- striglia il candidato Pdl- hanno superato se stessi, Cevoli e Crozza sono dei dilettanti”.