Il procedimento per aggiotaggio informativo a carico dei due 'grandi vecchi' delle finanziarie (Ifil ed Exor) che controllano la Fiat è a rischio prescrizione. Dopo anni di indagini, il pericolo è un nulla di fatto
E’ una corsa contro il tempo. Il 25 febbraio prossimo scatterà la prescrizione per i reati compiuti da Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens, i “grandi vecchi’ che per anni sono stati capo della Ifil e dell’Exor, le società finanziarie che controllano la Fiat. Per questo motivo stamattina all’apertura del processo d’appello la Corte ha stabilito un fitto calendario d’udienze tagliando al massimo la discussione. “La corte vuole sentire solo le vostre considerazioni, non la ricostruzione dei fatti”, ha detto il presidente Roberto Pallino rivolgendosi a procura e difensori. Una maniera per arrivare a un punto certo dopo anni di indagini e processi molto complessi.
Gabetti, ex presidente della Ifil (ora Exor), società finanziaria della famiglia Agnelli che controlla la Fiat, e ‘l’avvocato dell’Avvocato’ Grande Stevens sono accusati dal sostituto procuratore Giancarlo Avenati Bassi e dal procuratore generale Marcello Maddalena di aggiotaggio informativo: avrebbero diramato un comunicato, datato 24 agosto 2005, con cui dichiaravano che la finanziaria non aveva intrapreso operazioni per mantenere il controllo sulla Fiat. In questa maniera però – sostiene l’accusa – avrebbero manipolato il mercato ingannando gli azionisti e l’autorità di controllo, la Consob. Contro i due uomini il pm ha chiesto una condanna a due anni e due anni e mezzo. Sul banco degli imputati ci sono anche la Exor e la Giovanni Agnelli Sapaz, ritenute responsabili civili: nei loro confronti la prescrizione non si estinguerà e quindi, teoricamente, potrebbero essere condannate a risarcire i 700mila euro richiesti.
La vicenda che vede protagonisti due pezzi grossi del potere torinese è cominciata nel 2002, periodo di crisi per il Lingotto, con la sottoscrizione di un prestito ‘convertendo’ della Merril Lynch da tre miliardi di euro: se la Ifil non fosse stata in grado di restituire il finanziamento la banca d’affari newyorkese avrebbe ottenuto un controvalore in azioni dopo un aumento di capitale. Secondo Gabetti questo avrebbe messo a rischio il controllo del 30,6 per cento della Fiat da parte della famiglia Agnelli dando il via a uno ‘spezzatino’ dell’azienda con l’ingresso di nuovi azionisti, le banche. Nell’estate 2005, dopo alcuni dubbi sollevati dalla Consob, l’Ifil “precisa di non aver intrapreso né studiato alcuna iniziativa in relazione alla scadenza del prestito convertendo”. Poi, meno di un mese dopo, il consiglio d’amministrazione annuncia l’acquisto di 82,25 milioni di azioni da Exor Group, “riveniente a seguito di un’operazione finanziaria (equity swap) pattuita tra Exor Group e Merrill Lynch International”. Per l’occasione Gabetti disse che “sarebbe stato un errore non cogliere questa occasione per mantenere inalterata la propria posizione azionaria”.
Per il pm esistono invece dei ‘pizzini’, come chiama le mail scambiate tra dirigenti, che dimostrano la premeditazione, l’intenzione di agire con riservatezza e ingannare la Consob. Per questo ‘delitto’ esiste pure un movente: i 530 milioni di euro in azioni da rilevare per mantenere il controllo. “Ho provato io a scrivere il comunicato giusto: ‘Sono state intraprese iniziative il cui successo è condizionato dall’esito di studi ancora in corso'”, ha detto durante la requisitoria, sostenendo pure che l’autore del ‘falso volontario’ fosse proprio Grande Stevens. L’avvocato, seduto due file dietro, scuoteva la testa.
In primo grado il giudice Giuseppe Casalbore ha assolto gli imputati Gabetti, Grande Stevens e Virgilio Marrone, ma la Procura di Torino, la Procura generale e la Consob hanno fatto un ricorso diretto in Cassazione, che lo scorso giugno ha annullato l’assoluzione per Gabetti e Grande Stevens. Per contrastare il nuovo processo i difensori hanno prodotto una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 24 gennaio scorso che ha dato loro ragione: gli imputati, già condannati a una sanzione amministrativa, non potrebbero essere processati per lo stesso fatto secondo il principio del ne bis in idem. La Consob aveva infatti multato la Ifil per 6,3 milioni di euro mentre i manager erano stati sospesi temporaneamente dalle cariche. La Corte tuttavia non ha accolto l’eccezione e ha proseguito.