Dopo la restituzione dell’Imu agli italiani, in Lombardia c’è chi vuole tassare la prostituzione per destinare i ricavati ad un fondo per l’occupazione e alle imprese. La proposta è del presidente del consiglio regionale uscente Fabrizio Cecchetti (Lega Nord). L’esponente leghista, in corsa per un posto al Pirellone, sembra convinto della fattibilità del progetto: “Il progetto è fattibile , non serve nessuna norma nazionale – spiega Cecchetti – Sarà la Regione, come ente di coordinamento, a stipulare una convenzione con l’Agenzia delle Entrate la quale, su una mappatura che verrà fornita dai comandi della polizia locale dei nostri Comuni, interverrà per tassare l’attività delle prostitute”.
Fabrizio Cecchetti poi continua: “In questo modo la Regione tratterrà i proventi derivanti dalla lotta all’evasione che saranno poi destinati al sostegno di lavoro e occupazione”. A detta dell’esponente leghista: “anche la Corte di Giustizia Europea la ritiene una prestazione di servizi retribuita che rientra nella nozione di attività economiche. Non vedo perché allora non si possa intervenire e tassare questa particolare attività come avviene per tutte le altre realtà che generano reddito, al di là della forte lotta che si deve fare contro lo sfruttamento della prostituzione”.
Al di là della boutade elettorale, la proposta formulata da Cecchetti ricalca in parte l’esperimento già avviato all’inizio dello scorso anno a Bologna, dove i carabinieri hanno censito e monitorato l’attività delle squillo attive in città, con lo scopo di girare i dati all’agenzia delle entrate per un’eventuale recupero dei crediti. Il dibattito sul tema non è infatti cosa nuova e vanta già un’ampia casistica giudiziaria. Sono diverse le escort e gli accompagnatori che negli ultimi anni sono stati chiamati a saldare i loro debiti con il fisco. Pizzicati dall’agenzia delle entrate per l’evidente scollamento tra il tenore di vita e il reddito dichiarato, diversi professionisti del sesso sono dovuti scendere a patti con le commissioni tributarie provinciali e regionali, versando all’erario quanto dovuto per la loro attività di meretricio, equiparata ad un qualsiasi altro lavoro autonomo, soggetto quindi all’applicazione dell’Iva.
Del resto i dati stimati sul giro d’affari generato dalla prostituzione in Italia sono impressionanti. Li aveva raccolti e diffusi la senatrice radicale Donatella Poretti, autrice negli anni scorsi di un disegno di legge per la regolamentazione della prostituzione. Si parla di redditi per circa un miliardo di euro l’anno, frutto del lavoro di circa 70mila prostitute regolari che soddisfano la domanda di oltre 9 milioni di clienti per un gettito potenziale di almeno 260 milioni di euro annui, cifre che sono certamente approssimate per difetto e che in tempi di grandi difficoltà per i conti pubblici iniziano ad ingolosire un numero crescente di amministratori.