Penso a Dorothy. Il mio cane. Lei ama la neve: ci affonda dentro, mentre rincorre gli scoiattoli e, da lontano, riesco ad intravvedere solo il suo muso nero e il cappotto rosso che restano in superficie.

Sono in Italia. Il volo è stato cancellato ma, oggi, tranne ulteriori cambi, parto. Sono sempre in apprensione quando sono lontana e sento di queste “tempeste perfette” che si avvicinano e sembrano dover bloccare tutto e tutti. Mi è già capitato quando Irene decise di toccare New York. Con insistenze che avrebbero convinto chiunque, riuscì ad arrivare a Philadelphia e prendere l’ultimo treno utile per Manhattan. E cosi, mentre il vento infuriava all’esterno e l’acqua cominciava ad arrivare dal soffitto, perlomeno, ero con Dorothy.

Sandy, l’uragano è stato altro. Brutto, difficile e pauroso.

La neve, invece, sembra non dover creare danni e a guardare i bambini divertirsi con gli slittini a Central Park, in fondo, non risulta difficile sorridere. Invece le vittime di Nemo, la tempesta di neve, sono almeno nove.

Si dice spesso che si esagera. Spesso sono esagerati e errati gli allarmi creati da noi giornalisti. Mai le precauzioni prese da sindaci e governatori. Quell’efficienza mi fa sempre sentire bene. Protetta. Almeno da quelle tempeste.

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