Prima il maltempo, poi il ricorso in Cassazione degli avvocati di Massimo Ciancimino: sembra non avere fine la vicenda legata alle intercettazioni delle telefonate tra l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La loro distruzione, disposta venerdì scorso dal gip di Palermo Riccardo Ricciardi dopo il pronunciamento della Corte costituzionale, è slittata nuovamente a causa del ricorso in Cassazione depositato dai legali di Massimo Ciancimino, Roberto D’Agostino e Francesca Russo, contro il provvedimento del giudice che rigettava la loro richiesta di ascoltare le quattro telefonate, nelle quali ci potrebbero essere elementi difensivi rilevanti per il loro assistito.
E’ andato a vuoto quindi il viaggio del tecnico della Rcs, la società che gestisce il server della Procura dove sono immagazzinate le conversazioni che vengono intercettate dagli inquirenti, dopo le difficoltà di questa mattina, quando a causa della neve il tecnico non era riuscito a imbarcarsi da Milano.
I legali avranno adesso a disposizione due settimane per integrare le motivazioni del ricorso e poi si dovrà attendere il pronunciamento della Cassazione. Per l’eventuale distruzione delle telefonate, nelle quali il gip ha evidenziato “l’assenza nel loro contenuto di riferimenti a interessi relativi a principi costituzionali supremi che possono essere pregiudicati dalla distruzione delle registrazioni”, potrebbe passare quindi un altro mese.
La vicenda si protrae ormai da oltre un anno. Le telefonate risalgono infatti a fine 2011, ma la storia è divenuta pubblica solo nel giugno scorso. Da lì il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale nei confronti della Procura di Palermo, poi il pronunciamento della Corte costituzionale a dicembre e infine la richiesta dei pm di Palermo al gip di distruggere le telefonate. L’utenza messa sotto controllo su mandato degli inquirenti – vale la pena ricordarlo – era quella di Mancino, in quella fase indagato e oggi imputato di falsa testimonianza: secondo i pm, l’ex ministro, insediatosi al Viminale il primo luglio 1992, sapeva della trattativa e avrebbe mentito sui rapporti tra pezzi dello Stato e pezzi di Cosa Nostra intercorsi nei primi anni ’90. Per lui e per altri undici indagati i pm hanno chiesto il rinvio a giudizio il 24 luglio scorso e l’udienza preliminare è in corso. Mancino, preoccupato per l’inchiesta che lo riguardava, ha compiuto diverse diverse telefonate contattando anche lo stesso Napolitano. Il Capo dello Stato ha ritenuto lese le proprie prerogative e la Consulta gli ha dato ragione. Ma per chiudere la vicenda servirà ora anche il via libera definitivo della Cassazione.