Un Papa, qualsiasi papa, non si dimette per motivi di salute. Chi viene eletto al soglio di Pietro sa che su quella scomoda poltrona dovrà esalare l’ultimo respiro. A costo di sacrifici immani e di agonie mediatiche. È così che è sempre andata, è così che sempre andrà.
Un Papa si dimette, invece, se il problema non è fisico ma morale. E allora, tra interpretazioni fantasiose (impagabile Saviano che insinua il dubbio di una mossa elettorale) e acqua gettata sul fuoco dal Vaticano, forse il motivo dell’abdicazione di Benedetto XVI è umanissimo e ha a che fare con la presa d’atto di un dato di fatto: lui, campione della Chiesa conservatrice, non è riuscito in alcun modo a raddrizzare la barra di un mondo sempre più secolarizzato, laico, persino ateo.
Nessun giudizio di merito, da parte mia, ma solo una constatazione. Il mondo in cui si è trovato a operare il fine teologo Ratzinger è il mondo dei matrimoni omosessuali, di una gioventù sempre meno spirituale e sempre più terrena, di un sistema economico e valoriale che è distante anni luce da quel magistero della Chiesa che lui ha sempre difeso a spada tratta e con quella punta di freddo cinismo che gli è propria.
Forse Joseph Ratzinger ha preso atto di un fallimento, il suo, e ne ha tratto le debite conclusioni. Si è arreso. Perché è stanco, perché è anziano, forse perché è malato. Ma anche perché in cuor suo sa di non potere nulla contro il progresso, qualsiasi cosa esso voglia dire, che fa a cazzotti con tutto ciò in cui crede, con tutto ciò per cui ha lottato, con tutto ciò che lui reputa l’unica via possibile.
Benedetto XVI, così come tutti gli altri uomini che vivono su questo pianeta, non è infallibile, checché ne dica Santa Romana Chiesa. E lui lo sa. E lui ha fallito. E lui ha fatto un passo indietro. Perché il progresso non si ferma. Perché c’è un tempo per tutto e quello che stiamo vivendo non è il suo.