E’ avvenuto quello che doveva avvenire. L’anziano cardinale tedesco, per lunghi anni “carabiniere” freddo e intransigente a guardia della più arcaica dottrina dogmatica e morale della Chiesa cattolica, divenuto Papa all’età di 76 anni, non ce l’ha fatta e ha gettato la spugna. Subito dopo la morte di Giovanni Paolo II, qualche giorno prima di entrare nel conclave che lo avrebbe eletto Papa della Chiesa cattolica, Ratzinger, nell’imponente scenario del Colosseo, in mondovisione, si era candidato, di fatto, a prendere il posto di Wojtyla col proposito di ricondurre la Chiesa nel contesto dottrinale e disciplinare del Concilio di Trento, stoppando il più celermente possibile le innovazioni del Vaticano II. Già da Prefetto del S.Uffizio aveva combattuto tutta la teologia scaturita dal Vaticano II, ma ora, candidandosi Papa al di sopra delle parti, più che i temi dottrinali, sceglie un tema più scioccante per l’opinione pubblica: la “sporcizia” nella chiesa, quella sotto gli occhi di tutti e quella nascosta. Messo da parte il felpato linguaggio del prelato di curia, pronuncia parole che qualche secolo prima, poteva aver pronunciato il frate domenicano Girolamo Savonarola, che denunciava a gran voce la sporcizia morale di cui era ammorbata la Chiesa. Per questo e per la sua lotta politica contro il cattivo governo il frate domenicano, per ordine di un Papa, Alessandro VI, fu mandato all’impiccagione e al rogo. Sembrò un Savonarola il cardinal Ratzinger, che, davanti ai cardinali elettori e alle telecamere di tutto il mondo, accusò i ministri della Chiesa di “tradimento e di “abuso della Parola”, di “superbia e autosufficienza”: “Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote, quanta sporcizia c’è nella Chiesa”. Checché se ne voglia dire, quelle parole suonarono subito come un’autocanditatura forte al soglio pontificio e un avvertimento-programma del suo pontificato. I lunghi anni trascorsi accanto a Giovanni Paolo II abbondantemente assente dal Vaticano per i suoi spettacolari viaggi, avevano fatto di Ratzinger il vero possibile continuatore della restaurazione iniziata da Wojtyla.

Così Ratzinger, in continuità col programma di restaurazione da Prefetto del S.Uffizio, nei suoi otto anni di pontificato non ha fatto altro che enunciare principi ed emanare condanne per chiunque – preti, vescovi, teologi, laici- si scostasse minimamente dalla più rigida dottrina dogmatica e morale della Chiesa. Individuò nell’aggiornamento del Concilio la prima causa della indisciplina degli ecclesiastici progressisti e del decadimento dei principi morali sui quali la Chiesa si era attestata come in una roccia immobile. Il suo primissimo intento fu dunque la neutralizzazione delle aperture volute dal Concilio. E per questo mandò subito un segnale di benevolenza ai seguaci dello scismaticoVescovo Lefebvre che negava la legittimità del Vaticano secondo e ne rifiutava le principali Costituzioni. I primi provvedimenti ebbero per oggetto la condanna di ogni innovazione liturgica da cancellare perché portatrice di “abusi liturgici”. Grande vittoria per i lefebviani, grande contestazione a difesa del Concilio da parte di vescovi, qualche cardinale e moltissimi parroci. Negli ambienti cattolici progressisti circolava la tesi che non era Ratzinger che riconduceva i lefebvriani nella Chiesa, ma erano questi che riassorbivano il Papa nei rigori della dogmatica, della disciplina e della morale della Controriforma tridentina.

Sarebbe troppo lungo l’elenco dei veti ribaditi da Benedetto XVI per inchiodare le donne e gli uomini nella precettistica della morale sessuale e della bioetica: nessuna attività sessuale fuori dalla volontà di procreare, nessun rapporto sessuale se non dopo la benedizione del matrimonio da parte del prete, quindi nessuna convivenza prematrimoniale e nessuna convivenza con partner divorziati, nessun uso di contraccettivi, niente comunione e assoluzione per questi ultimi perché considerati pubblici peccatori, nessun riconoscimento dell’omosessualità perché considerata o malattia o disordine morale, nessun uso di contraccettivi, minaccia dell’inferno per tutti questi peccati, compreso il peccato di masturbazione per gli adolescenti a partire dalla pubertà. E la bioetica? Due coniugi con problemi di fecondità, pur regolarmente sposati, che rivendicano il diritto alla paternità e maternità non possono ricorrere alla fecondazione assistita, perché, secondo Ratzinger,metodo contro natura. Anche in quest’ambito così intimo e delicato la dottrina ribadita da Papa Ratzinger non concede alcuna pietà e comprensione. Ai malati terminali e ai loro congiunti, secondo la stessa dottrina, viene imposto l’obbligo delle cure e dell’alimentazione forzata, per contrapporre al peccato della “buona morte” la condanna ad una vita penosamente vegetale.

Ma questa è la “legge” della Chiesa, e se ci vuoi stare la devi osservare. Appunto, di una Chiesa matrigna mille miglia distante dalla generosità e misericordia di Dio che la stessa Chiesa predica.

Probabilmente questi sono i peccati che, secondo Ratzinger, creano “sporcizia” nella Chiesa. Se ad essi si aggiungono i peccati della Chiesa e dei suoi uomini, il quadro diventa più fosco e catastrofico: la diffusissima piaga della pedofilia dei preti, le convivenze clandestine dei preti obbligati al celibato da una legge ecclesiastica (non di Dio!), i grandi e continui traffici finanziari della Banca vaticana, le ingenti somme di denaro della S. Sede investite in speculazioni finanziarie internazionali, la spropositata ostentazione di ricchezza della gerarchia ecclesiastica (durante le grandi celebrazioni pontificie l’abbigliamento liturgico di Ratzinger costa decine di migliaia di euro), gli intrallazzi economici tra le mura vaticane denunciati dagli stessi prelati e inascoltati dallo stesso Ratzinger che, anziché punire i colpevoli punisce chi li ha svelati e denunciati.

A completare il quadro del mare in tempesta in cui Ratzinger deve guidare la Chiesa, non è secondario il tema della cosiddetta dottrina teologica.

La ricerca teologica contemporanea è impegnata non tanto nella impossibile dimostrazione dell’esistenza di Dio, quanto nello sforzo di rendere accettabile e possibile all’uomo non il Dio astratto della teologia romana, imprigionato nel ristretto perimetro canonico della dogmatica istituzionale ecclesiastica, ma un Dio libero e liberante che rispetta le coscienze, non impone pesi, e corrisponde al desiderio di trascendenza e all’stanza di giustizia e di libertà presenti nella vita di ogni uomo e donna.

Ma Ratzinger si considera un grande teologo, e per questo si è fatto giudice assoluto, prima da Prefetto del Sant’Uffizio e poi da Papa, di tutte le controversie teologiche contemporanee. Ha condannato fino alla scomunica i più autorevoli studiosi di teologia di tutto il mondo quando le loro tesi o ipotesi teologiche si discostavano minimamente dal suo fondamentalismo teologico di stampo tridentino.

Così il teologo Ratzinger, “vicario di Gesù Cristo” e rappresentante di Dio in terra, con la sua autorità papale che dice discendergli direttamente da Dio, ha fatto fioccare sui suoi più autorevoli colleghi teologi condanne sommarie, inappellabili e definitive. Non a decine ma a centinaia, tra i più noti all’opinione pubblica mondiale: lo svizzero di formazione tedesca Hans Kung, il francescano brasiliano Leonardo Boff, il domenicano olandese Schillebeeckx, il fondatore della Teologia della Liberazione Gustavo Gutierrez, la teologa americana suor Lavinia Byrne, il missionario dello Sri Lanka Balasuriya, l’italiano Franco Barbero, il gesuita Dupuis, l’americano Curran, i religiosi americani Suor Gramick e padre Nugent ai quali viene imposto il divieto di interrompere il lavoro pastorale a favore degli omosessuali. E l’elenco è inimmaginabilmente lungo.

Ratzinger si era candidato Papa per purificare la Chiesa dalle scorie negative del Vaticano II, dal dramma della pedofilia dei preti, dagli abusi dei fedeli in fatto di sessualità e di bioetica, dai preti omosessuali, dal carrierismo degli ecclesiastici. Anche qui l’elenco è lungo. Ma negli otto anni di pontificato, anziché vedere risultati, ha visto diffondersi la “sporcizia” e le disobbedienze: i fedeli continuano a ignorare la precettistica rigida della morale nella loro intimità, gli scandali vaticani sono ogni giorno più sotto gli occhi di un’opinione pubblica indignata, i teologi sono sempre più lontani dai rigidi schemi dogmatici romani, i giovani non si confessano più, le chiese si svuotano, i seminari hanno sempre meno candidati al sacerdozio. Un altro elenco più lungo degli altri.

Ratzinger al timone della barca di Pietro la vede sempre più assalita da un mare sempre in tempesta in tutte le latitudini. L’ultimo scandalo, quello del furto di documenti segreti sotto il suo tetto e con la complicità dei suoi più stretti collaboratori, ha colpito lui personalmente e ha sbattuto la barca contro gli scogli di una sconcertata opinione pubblica mondiale. Non immaginava otto anni fa che gli potesse succedere. Oggi sente di non avere avuto e di non avere il vigore necessario per affrontare la tempesta e gli scogli: accetta la sconfitta, getta la spugna e scende dalla barca. E nessuno gli dirà: “cazzo, risalga a bordo!”   

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