Una classe media più forte. Nuovi investimenti nell’educazione, nelle infrastrutture, nell’energia pulita, “perché non abbiamo bisogno di più Stato, ma abbiamo bisogno di uno Stato più intelligente”. Una nuova legge sull’immigrazione e la richiesta di alzare i salari minimi a 9 dollari all’ora e 34mila soldati Usa di ritorno dall’Afghanistan entro il febbraio 2014. E’ l’agenda politica tracciata da Barack Obama nel primo discorso sullo Stato dell’Unione del suo secondo mandato, in cui il presidente americano ha ancora una volta preso di petto gli avversari repubblicani – che hanno accolto gran parte del discorso in un gelido silenzio – e rilanciato un’idea di interventismo federale che appare ormai il “cuore” della sua strategia politica.
Se il discorso inaugurale dello scorso 21 gennaio era servito a definire una robusta strategia “liberal” per i prossimi quattro anni, quello di ieri sera sullo Stato dell’Unione si è concentrato in modo più dettagliato – e talvolta un po’ burocratico – sulle cose da fare. In un solo momento Obama ha alzato i toni della retorica ed emozionato davvero la sala e i milioni di americani che lo seguivano in tv. E’ successo quando ha chiesto che il Congresso voti finalmente una legge per limitare l’uso e la vendita di armi negli Stati Uniti. “Gabby Giffords merita un voto – ha scandito Obama, levando progressivamente la voce e citando vittime e luoghi delle ultime stragi per armi da fuoco -. Le famiglie di Newtown meritano un voto. Quelle di Aurora, di Oak Creek, di Tucson, di Blacksburg e di altre infinite comunità meritano un voto”. Ad ascoltarlo, tra la folla di invitati, c’erano molte vittime della violenza, tra cui proprio l’ex-deputata Gabrielle Giffords, paralizzata in buona parte del corpo dopo l’attacco di un pazzo, e i genitori di Hadiya Pendleton, la 15enne uccisa in uno scontro a fuoco in un parco di Chicago. Gran parte dei deputati e dei senatori, intanto, esibivano sulle giacche e sui vestiti dei nastri verdi, proprio per ricordare le vittime della violenza.
A parte la legge sulle armi, Obama ha cercato di dare sostanza soprattutto ai contenuti di giustizia sociale e tutela dei diritti che sono stati il centro del discorso inaugurale. La prima proposta concreta della sua amministrazione è quella di alzare il salario minimo federale, oggi fermo a 7,25 dollari l’ora, a quota 9 dollari. “Nella nazione più ricca al mondo – ha detto Obama – nessun lavoratore a tempo pieno dovrebbe vivere in povertà. Questo passo potrebbe alzare gli stipendi di milioni di famiglie di lavoratori, potrebbe fare la differenza tra fare la spesa in drogheria o ricorrere alle donazioni di cibo, pagare l’affitto o essere sfrattati”. Se la proposta di Obama diventasse legge, si tratterebbe del rialzo più alto, adeguato all’inflazione, in tre decenni, tale da migliorare la situazione economica di almeno 15 milioni di persone. Ancora in tema di lotta alla disoccupazione, Obama ha lanciato il programma “Fix it First”, “anzitutto, aggiustare”, un piano per il recupero e la manutenzione delle maggiori infrastrutture statunitensi: “Possiamo mettere subito al lavoro molta gente con azioni urgenti, come i circa 70mila interventi di cui hanno bisogno i ponti del Paese”.
Oltre alla lotta alla disoccupazione, Obama ha però ancora una volta sottolineato che “il compito della nostra generazione è riaccendere il vero motore della crescita economica degli Stati Uniti, cioè rafforzare la classe media… ripristinare il patto di base che ha costruito questo paese: l’idea forte che se si lavora duro, in modo responsabile, si può andare avanti, non importa da dove vieni, come sei, o chi ami”. Alla classe media in difficoltà, il presidente ha offerto tre cose: nuovi sgravi fiscali, la possibilità di rifinanziare i mutui immobiliari, investimenti nell’educazione, nella ricerca, nell’energia pulita, oltre che nuove forme di partnership tra pubblico e privato per attirare i capitali e “dimostrare al mondo che non c’è posto migliore per fare affari che l’America”. L’interventismo federale, ha avvertito Obama, non dovrà pero in nessun modo incidere sul deficit, per il quale il presidente ha ribadito l’obiettivo di una riduzione di altri 2500 miliardi tra nuove tasse e tagli alla spesa.
In un discorso ampiamente dedicato ai temi interni, ci sono stati alcuni passaggi importanti per la politica estera. Atteso, perché anticipato nelle ore precedenti il discorso, è stato l’annuncio del ritiro anticipato per 34mila soldati americani dall’Afghanistan: “entro il febbraio 2014”. In realtà, la realtà dei fatti risulterà meno drammatica rispetto alle apparenze. Sino a dicembre 2013, i generali Usa avranno infatti il potere di scaglionare liberamente e senza alcun vincolo il ritiro (una richiesta ripetuta più volte nelle scorse settimane dal generale Allen). Se prevedibile è stato il rapido accenno di Obama a una “comprensiva riforma dell’immigrazione”, una proposta su cui democratici e repubblicani paiono ormai d’accordo, ha sorpreso l’accenno a una “maggiore trasparenza” nella conduzione della guerra al terrorismo: “Mi impegno con il Congresso non soltanto perché la nostra politica di detenzione e caccia ai terroristi rimanga in linea con le nostre leggi e con il nostro sistema di controlli ed equilibri, ma anche perché questa politica sia sempre più trasparente nei confronti degli americani e del mondo”. Un accenno, quello di Obama, giustificato con ogni probabilità dalle polemiche seguite alle audizioni al Senato di John O. Brennan, designato nuovo direttore della Cia. Ha invece, ancora una volta, deluso il capitolo dedicato dal presidente all’ambiente. Nessuna traccia, nell’intervento, all’imposizione di limiti alle emissioni. In compenso, Obama ha piuttosto genericamente parlato di nuovi sforzi “per raddoppiare la produzione di energia eolica e solare”.
La reazione dei repubblicani al discorso, attraverso Marco Rubio, c’è già stata ed è stata del tutto negativa. I prossimi mesi saranno, con ogni probabilità, caratterizzati da un clima politico particolarmente teso. Obama non ha del resto, ieri sera, attenuato in nulla gli accenti polemici e la forte impronta “liberal” dell’inaugurazione. Non a caso ha scelto, proprio per iniziare il suo intervento, una frase di John Fitzgerald Kennedy: “La Costituzione ci rende non rivali per il potere, ma alleati per il progresso. Questo è il mio compito”. Il presidente, galvanizzato dalla vittoria elettorale e risalito nei sondaggi, si sente più forte e ha deciso di tenere un profilo alto. L’idea, sua e dei suoi collaboratori, è che saranno soprattutto i prossimi mesi a rivelarsi decisivi per l’azione riformatrice. Di qui la scelta di andare, da subito, esplicitamente, al confronto, probabilmente allo scontro, con i rivali politici.