Ebbene, data l’assoluta imprevedibilità e gratuità del suo gesto – certamente il più grande e nobilmente edificante di tutto il suo pontificato – la sola spiegazione che se ne può dare, e che ha fornito lui stesso nella sua dichiarazione al concistoro di ieri l’altro, è quella di un atto di coscienza, deciso in omaggio a un obbligo interiore a cui non ha voluto sottrarsi.
Alla faccia di tutte le motivazioni pratiche, politiche, economiche (qualcuno potrebbe pensare allo Ior). Si è probabilmente reso conto che, nella situazione della Chiesa oggi, le dimissioni sono la sola cosa che un papa può seriamente fare; invece di continuare a lottare per sottrarre il Vaticano all’Ici, o a scomunicare preservativi, omosessuali, unioni civili.
È con la presa di distanza da tutte le “funzionalità” terrene, e dunque mostrando finalmente la faccia anarchica, e autenticamente soprannaturale, del Vangelo, che il cristianesimo può ridiventare una scelta di vita possibile per la gente del nostro tempo.
Se Gesù vivesse oggi tra i suoi pseudo-successori abbandonerebbe immediatamente il Vaticano, forse tornerebbe in Palestina per star vicino ai perseguitati ed espropriati di laggiù, certo non perderebbe più il tempo, e l’anima, seguendo le vicende della politica italiana, o premendo sulle autorità civili di tutto il mondo perché in omaggio alla “antropologia biblica”, le leggi proibiscano l’eutanasia, la fecondazione eterologa, l’adozione da parte di coppie gay, e naturalmente l’aborto e il divorzio.
Non è affatto stravagante pensare che questa crisi di coscienza papale possa essere davvero, o almeno essere legittimamente interpretata, come un evento decisivo nei rapporti del cristianesimo con la “razionalità occidentale”.
La quale da tempo, e con buone ragioni, ha ormai liquidato i preambula fidei; svelandosi per quello che è: la razionalità calcolante del mondo “economicamente” organizzato, dei tecnici motivati dal loro sapere “oggettivo” e, alla fine, della logica bancaria che tutti conosciamo e soffriamo sulla nostra pelle.
Insistere sull’idea che la fede in Gesù Cristo è una scelta razionalmente motivata significa davvero condannarsi a perire assieme all’Occidente capitalistico ormai in disfacimento.
Del resto, il comando della carità di Cristo non è mai andato a genio all’economia e alla razionalizzazione sociale che hanno costituito la forza dell’Occidente e la sua trionfante aggressività.
Non lasciamo cadere il messaggio di Benedetto XVI nel pettegolezzo o nella dietrologia vaticanesca. Prenderlo sul serio come merita vuol anche dire collocarlo nell’orizzonte epocale che gli compete.