L'ex presidente della Regione Puglia, a cui è stata inflitta una pena di quattro anno per le tangenti del caso La Fiorita, convoca una conferenza stampa e spara a zero contro i magistrati baresi, accusati di esser entrati "a gamba tesa in campagna elettorale"
“La mia condanna è il benvenuto dei magistrati baresi al presidente Silvio Berlusconi“. Raffaele Fitto, plenipotenziario del Pdl pugliese, va per le spicce. Non intende più essere moderato perché per lui “i magistrati sono entrati a piedi uniti in campagna elettorale”. Prima di parlare ha atteso 12 ore dalla sentenza che lo condanna a quattro anni per corruzione, illecito finanziamento ai partiti, e abuso d’ufficio nell’ambito del processo La Fiorita. Il tempo per mettere ordine nelle sue carte e attaccare in modo diretto i magistrati che hanno indagato su di lui.
“Avevamo chiesto al collegio giudicante di rinviare l’udienza di lunedì scorso perché lunedì era noto che a Bari ci sarebbe stato Berlusconi. Il collegio non ha voluto assecondare la nostra richiesta. Allora ho chiesto a Berlusconi di darmi un’altra data, che è quella del 13. E noi – spiega Fitto – lo abbiamo comunicato al collegio. Ma loro si sono riuniti forsennatamente in camera di consiglio per 27 ore in modo che il 13, il giorno dell’arrivo di Berlusconi, fosse pronta la sentenza. E’ un bel benvenuto che loro danno a Berlusconi”. L’ex ministro accompagnato dai suoi avvocati ribatte più volte sullo stesso punto. La tempistica del processo. La richiesta di condanna, ricorda, è arrivata nel giorno in cui ha consegnato le liste presso la Corte d’Appello di Bari e la sentenza giunge oggi. Forse, dice per nulla sarcastico, si teme la Puglia che da qualche settimana è data come una delle regioni in cui il Pdl sta rimontando velocemente.
Non gli va giù nemmeno quella sentenza di assoluzione arrivata qualche mese fa per il governatore Nichi Vendola. Per Fitto si tratta di fare due pesi e due misure. “Attendo di sapere e di capire per quale motivo i giudici che indagano sul sottoscritto sono stati tutti promossi. Uno è diventato assessore regionale (Lorenzo Nicastro n.d.r), l’altro è diventato procuratore di Brindisi, l’altro è stato nominato componente del Csm e il quarto ha portato avanti l’indagine sul mio conto fino ad oggi. E perché coloro i quali hanno avuto la sventura di indagare sul governatore Vendola sono stati tutti trasferiti o sono in via di isolamento all’interno della Procura”. L’unica battuta, ironica ma pungente, se la concede per colpire dritto il suo avversario di sempre. “Sono arrabbiato con mia sorella perché a differenza di quella di Vendola non è amica di nessun magistrato che mi ha indagato”.
L’ex ministro sfoga tutta la sua rabbia quando parla di quella presunta tangente da 500mila euro che, secondo la magistratura inquirente, avrebbe intascato in cambio di un appalto per la gestione di 11 residenze sanitarie assistite dall’editore e imprenditore romano Giampaolo Angelucci (condannato a tre anni e sei mesi), e versato nelle casse della Puglia Prima di Tutto, il partito che faceva capo proprio a Fitto. “Mi reputano uno stupido”, dice. “Solo un cretino non intasca personalmente una mazzetta. La gara fu regolare, il contributo fu dichiarato pubblicamente sia da parte di chi lo ha erogato che di chi l’ha ricevuto. Fu approvato dalla Camera dei deputati, certificato dalla Corte dei Conti. Questa è la tangente di cui stiamo parlando. A chi da ora in avanti, si permette di definirla tale, gli faccio un servizio così”, dice Fitto agitando le mani in modo che si capisca bene a cosa allude.
Ad applaudirlo, in sala, i maggiorenti del Popolo delle Libertà. Una presenza che sta a significare che il partito lo appoggia in tutto e per tutto. E proprio a loro si rivolge alla fine. “Avevo le mani pulite fino a questa campagna elettorale e ce le ho ancor di più oggi. Alle migliaia di persone che mi stanno manifestando il proprio affetto, dico che l’unico modo per essermi vicino è moltiplicare il loro impegno”. Perché da ora, per Raffaele Fitto, comincia la vera campagna elettorale.