La ristrutturazione della banca milanese ha avuto un effetto benefico in Borsa, ma il finanziere vicino a Mediobanca punta ancora più in alto
Se settecento prepensionamenti valgono in Borsa poco più di 607 milioni di euro – tanto è aumentato il valore della Banca Popolare di Milano dal giorno in cui, l’11 dicembre 2012, veniva annunciato il raggiungimento dell’accordo con i lavoratori – . figuriamoci quanto può valere la trasformazione di una Banca popolare in una società per azioni. Lo sa bene il presidente del consiglio di gestione dell’istituto, Andrea Bonomi, socio della banca milanese con l’8,2% grazie ad un investimento da 130 milioni datato 2011 e grande sponsor del progetto di trasformazione della vecchia e discussa popolare in società per azioni.
Gli affari – la Borsa ne è testimone – vanno insomma veloci e proseguono nonostante le comprensibili resistenze dei sindacati, specialmente degli ex Amici della Bpm che nel 2011 erano stati la testa di ponte per l’ingresso di Bonomi nella banca e che ora si mangiano le mani. Non li frena neanche la delicata vicenda giudiziaria di Bpm nella quale Bonomi è chiamato in causa, negli atti della Procura di Milano, da Francesco Corallo, titolare del gruppo di giochi d’azzardo,Atlantis-Bplus, cui la banca, nell’era di Massimo Ponzellini, aveva concesso fidi a fronte di somme di denaro versate nel 2009 allo stesso Ponzellini, Antonio Cannalire e Onofrio Amoruso via lo studio legale Palmisano & Amoruso. Il “Presidente del consiglio di gestione, dottor Andrea Bonomi – si legge nelle carte – è individuato ormai molto chiaramente nella strategia difensiva di Corallo come il nemico. Bonomi è oggetto di accuse molto pesanti, che se solo fossero prese seriamente in considerazione dal Consiglio di Sorveglianza dovrebbero imporre la messa in discussione della revoca del suo incarico”.
Ma mentre la magistratura fa il suo corso, Bonomi prosegue nel rilancio di Bpm. La strada maestra, di cui si è discusso martedì 12 febbraio in consiglio e, prima, con i sindacati, è quella appunto del passaggio da banca popolare in società per azioni che renderà il gruppo contendibile e quindi appetibile sul mercato. Con un lieto fine, magari, a nozze come accadde in passato per Banca Antonveneta che, nata nel 1996 dalla fusione di Banca Antoniana e Banca Popolare Veneta, divenne una preda ambita finita, dopo una battaglia fra la ex-Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani e l’olandese Abn Amro, prima nelle mani della spagnola Santander e poi al Monte dei Paschi di Siena per la stratosferica cifra di 10 miliardi, il doppio rispetto alla quotazione del 2002 (5 miliardi). Una storia su cui oggi,com’è noto, sta indagando a fondo la Procura di Siena.
Se tutto fila come nei piani di Bonomi, già a giugno potranno essere chieste le autorizzazioni alle autorità competenti per discutere della faccenda all’assemblea dei soci di luglio. Del resto la Popolare di Milano è un tassello molto importante all’interno di un più ampio scenario che vede il finanziere giocare un ruolo non secondario. Dal suo rientro sulla scena italiana dopo il lungo esilio della sua famiglia, che comunque prosegue sul fronte fiscale visto che la residenza è ancora all’estero, Bonomi ne ha fatta di strada. E ancora sembra destinato a farne se l’alleanza stretta con Mediobanca gli darà frutti. Lui dal canto suo non sta certo ignorando le chiamate di una Piazzetta Cuccia sempre più in difficoltà.
Lo stesso ingresso in Bpm è frutto dell’intesa con quel che rimane dello snodo chiave degli affari del salotto buono, al quale è seguita a stretto giro una poltrona di rilievo nel consiglio di amministrazione della Rcs, la società che pubblica il Corriere della Sera. E non sono in pochi, a Milano, gli osservatori pronti a scommettere su un suo crescente impegno nella società editrice, in soccorso agli azionisti in difficoltà. A partire dalla stessa Mediobanca, che di Rcs è il secondo socio dietro al ras degli ospedali lombardi, Giuseppe Rotelli. Altrettanto pronta, del resto, era stata la risposta alla chiamata per la partita sulla galassia Pirelli, prima dell’ingresso in scena delle famiglie Rovati e Sigieri Diaz che sono sono corse in soccorso del vicepresidente di Mediobanca, Marco Tronchetti Provera, di cui Piazzetta Cuccia è socia sia in Pirelli che in Prelios.
Prima ancora Bonomi aveva acquistato, con Piazzetta Cuccia fra i consulenti, la Ducati per poi rivenderla a Volkswagen per 860 milioni incassando un lauto guadagno. Ha flirtato invano con Fiat, storicamente vicina a Piazzetta Cuccia, per arrivare al marchio Alfa, ha scommesso sui magazzini Coin, le reti di Sirti, la società Permastelisa. Tutte società di cui Mediobanca è stata consulente finanziario. E poi ancora, in tempi più recenti, ha fatto una scommessa sui giochi della Snai, indebitatissima con Unicredit, il primo azionista di Piazzetta Cuccia.
Ma chi è Bonomi? Nipote d’arte (sua nonna era Lady finanza, Anna Bonomi Bolchini), il finanziere 47enne, nato a New York, si è formato nel mondo della finanza internazionale. Nel 1990 crea il fondo Investindustrial con il supporto di Alessandro Benetton facendone un gruppo con 42mila dipendenti in 13 nazioni con 3 miliardi di asset in gestione e promettendo agli investitori opportunità nel Sud Europa con un particolare focus sull’Italia. L’esperienza del resto non manca, gli Amici nemmeno. Quelli in Bpm, ma anche del salotto buono che è stato vicino a Lady finanza nei giorni della scalata del 1985 alla holding di famiglia, la Bi-Invest, nata dalla fusione della Invest, acquistata dalla Montedison, e dalla Beni Immobili Italia creata dal bisnonno di Andrea nel 1918.
A Milano, infatti, il raid su Bi-Invest non è stato mai digerito perché interpretato come un affronto alle famiglie del capitalismo italiano condotto da due aggressivi finanzieri emergenti, Francesco Micheli (allora alla guida di Finarte) e Paolo Mario Leati (Lombardfin) sotto la regia del presidente di Montedison, Mario Schimberni. Con un obiettivo preciso: sfilare ai Bonomi il 17% di Montedison.
Uno smacco al salotto buono, la scalata a Bi-Invest, ad opera di Schimberni che viene messo alla porta due anni dopo da Raul Gardini in seguito al tentativo di scalata di Fondiaria. Per questo il ritorno alla cronache finanziarie di Andrea Bonomi è stato accolto a Milano come il rientro in casa di un amico a lungo assente che ha mostrato lo stesso fiuto per gli affari di sua nonna.
Si spera però abbia frequentazioni migliori: la signora venne inserita dall’allora ministro del Tesoro, Ugo La Malfa, nel gruppetto “ dei golpisti di Borsa” assieme a Roberto Calvi, Eugenio Cefis, Carlo Pesenti e Michele Sindona. A causa di quest’ultimo finisce sul banco degli imputati a Milano con l’accusa di concorso al crac del Banco Ambrosiano per due accrediti, totale dieci milioni di dollari, che Calvi le fece in Svizzera. Vicenda per la quale la signora Bonomi patteggiò in appello nel 1996 congedandosi definitivamente dal mondo degli affari. Un triste epilogo, ma quelli erano altri tempi.
Oggi è il momento, come suggerisce Mediobanca, delle fusioni bancarie soprattutto fra le popolari che dovranno rafforzarsi per rispettare i vincoli di solidità imposti da Bruxelles. Per capire i movimenti sullo scacchiere delle popolari, qualche indizio arriverà il 20 aprile, quando in Ubi si consumerà lo scontro in assemblea fra l’anima bresciana e quella bergamasca della banca per via dell’uscita di scena del presidente del consiglio di gestione, Emilio Zanetti, che finora ha saputo tenerle insieme.
Per la prima volta in assemblea arriveranno due liste di candidati al consiglio, sulla scia dell’attivismo di Giorgio Jannone, ex parlamentare Pdl e presidente delle cartiere Pigna che fu protagonista della creazione dell’Associazione azionisti Ubi banca promettendo di mettere a ferro e fuoco l’istituto di credito. L’ex commercialista berlusconiano non fa mistero del fatto che vorrebbe una banca meno mutualista. I destini di Ubi e della Popolare di Milano potrebbero quindi incrociarsi sulla strada della trasformazione in spa.