Stefano e Federico ieri sera erano a Sanremo. Ci hanno dato una notizia bella (che si amano) e una che – purtroppo – sapevamo già; che dovranno andare altrove per veder riconosciuto in un matrimonio questo amore.
Capisco i buoni intenti di tutti (loro e la Rai) e, tanto per chiarirci, non è accaduto nulla di doloso (è semplicemente andato in onda un modo, legittimo, di porre certi temi) ma solo io ho amici gay un po’ sconcertati per il quadretto nazional/politically correct come quello di ieri sera a Sanremo?
Un discorso vale anche per la stanza in cui si è scelto di farlo, oltre alla quantità credete che Sanremo vi offrirà anche tutta la qualità e la modalità di ascolto che queste problematiche richiedono? Pensiamo davvero che in forza del discorso che abbiamo sentito fare in tutti i contenitori pomeridiani (fra sagre di paese, cronaca nera e stacchi de coscia) “Eh, è la vita reale che irrompe a Sanremo…”, il vostro innegabile coraggio non verrà tradito prima e dimenticato poi, impedendogli di fatto di cambiare concretamente le cose? Spero tanto di sbagliarmi, ma la tv non agisce, illude.
Quanta “vita reale” avete visto transitare sul vostro teleschermo per poi morire un’ora dopo averle fatto credere di essere stata finalmente “ascoltata”? Appelli di persone provate, disperate, ingiustamente vessate, scorrevano nel tubo catodico per poi spiaccicarsi sul tappeto del nostro salotto, fra bottiglie vuote e pop corn.
Stavolta andrà diversamente? Quella fetta di nazione e di opinione pubblica che per anni nemmeno si poneva il vostro problema, adesso resterà turbata? Stefano, Federico, io per voi sognavo qualcosa di più. Molto di più, un cambio radicale – provocatorio magari – di prospettiva. Volevo foste irrintracciabili per tutti coloro che non vi hanno mai cercati. Una scelta paradossale ma salvifica, sognavo che vi dimenticaste di chiedere il permesso. Che il vostro modo di sentirvi “uguali” agli altri non passasse dal doverlo diventare.
Ma vi conviene davvero questa lotta per essere “come gli altri”? Nell’immaginaria “Fattoria degli animali” occidentale, voi eravate quelli “più uguali” degli altri, perché mettere a repentaglio il regalo di Orwell?
Perché volete che i vostri sacrosanti diritti di amarvi come vi pare, e di vedere riconosciuti dalla legge i percorsi del vostro amore, vengano riconosciuti da una fetta di nazione che non lo ha ancora fatto, solo perchè adesso vi ha visti a Sanremo? Perché volete che sia chi non può capire le vostre ragioni a darvi “ragione”? Non perdete tempo a convincere nessuno, sbattetevene, godetevi ciò che vi viene proibito credendo che vi impedisca di essere felici. Dimenticatevi di chi si è dimenticato di voi. Non rimpiangete il tempo in cui facevate paura perché non rendevate conto a nessun contenitore nazionalpopolare o politically correct (la tragedia italiana è che i due sistemi coincidono) di come vi amavate? Non avete nostalgia di quando la vostra genialità era incompresa, quasi osteggiata? Non c’è niente di peggio di un “genio compreso” direbbe Ennio Flaiano.
Ieri sera mi ha mandato un sms un mio amico gay del liceo. Mi ha fatto venire in mente quando comunicò a suo padre “la faccenda” come la chiamava lui, e di fronte allo sconcerto – anche violento – dell’uomo, gli rispose come meglio non si poteva, regalandogli un quadretto dentro al quale era fotografata una frase di Celine che qualcuno si prese la briga di scrivere sotto casa sua: “L’amore è l’infinito abbassato al livello dei barboncini”. O qualcosa del genere.
Cosa speravo, allora, per i miei amici gay? Che poteste sposarvi? Troppo poco. Io speravo che poteste essere orribili come a volte lo sono gli altri che non vi accettano. Che poteste essere cattivi, traditori, corrotti e assassini come la metà dell’umanità cui chiedete di capire le vostre ragioni.
Dal discorsetto – con poesia annessa – in chiesa di “Quattro matrimoni e un funerale” alla citazione di “Love actually” di ieri, non capite (parlando per paradosso) che questi recinti nei quali vi “concedono” di sgranchirvi le gambe sono esattamente i lager domestici nei quali inconsciamente vogliono che viviate?
Perché ogni vostra ragione o diritto passa dalla vidimazione altrui circa la vostra affidabilità? Io invece volevo che foste felici e inaffidabili come chiunque altro. Per sposarvi, per poter adottare figli e tutto il resto, esigono che siate affidabili, che rientriate in quei canoni che nessuno si sogna di chiedere davvero ad una coppia “normale”. Vogliono sapere cosa penserete, come vi comporterete e che vi amerete, per tutta la vita. In una parola, vi vogliono “morti”. Almeno questo, il morire, fatelo come vi pare a voi.