Ci è rimasto malissimo, Maurizio Crozza. Non se lo aspettava, non ci è abituato. Non li aveva previsti questi sguaiati tentativi di attirare l’attenzione sulla campagna elettorale. Eppure bisognava aspettarseli, perché la campagna elettorale è una guerra misera e questa è la solita storia del Festival, che si ripete tutti gli anni. Le urla “basta con la politica” si sono sovrapposte ai fischi degli spettatori che volevano cacciare i “contestatori”. Tanto che deve intervenire la polizia, i due (ma davvero sembravano di più) vengono accompagnati nel foyer: sono gli stessi che contestarono Adriano Celentano, l’anno scorso.
Fabio Fazio si è arrabbiato e ha fatto bene a intervenire perché la sensazione è stata che Crozza non sapesse davvero che cosa fare. Fermarsi o proseguire? Per qualche secondo è sembrato indeciso. In sala stampa cominciano ad arrivare uffici stampa, funzionari e capistruttura Rai. Vogliono chiarire che era una claque, una sceneggiata organizzata. E ne aveva tutta l’aria. Chissà se ha fatto il gioco dei leader, che in questi giorni elemosinano presenze ovunque. Perché il punto è questo: le imitazioni di Crozza (strepitosa l’esibizione nei panni di Ingroia) hanno dato una mano a qualcuno? Il caso comunque, nonostante i musi lunghi dell’organizzazione è perfetto per lanciare quest’edizione low cost del Festival. Domani il banco di prova saranno gli ascolti, l’unico vero giudice del Festival e lo strascico delle inevitabili polemiche.
Intanto sul mega schermo della sala stampa scorrono i cartelli dei due ragazzi gay che andranno a sposarsi a New York, “perché si amano” e le leggi di questo Paese non lo permettono. Ma la concitazione della sala quasi impedisce di vederli: Crozza è partito per Genova, ci dicono. Intanto i suoi collaboratori passano tra i banchi: “No, non era tanto incazzato. L’interruzione l’ha un po’ spiazzato, lui è uno che prova le cose al millimetro”. Venerdì torna con il suo programma, ma su La7. E da lì magari qualche sassolino dalla scarpa se lo toglierà.