Proviamo ad avvicinarci a un’altra (di certezza): la rassegna è bella, vitale e funziona, con buona pace dei detrattori ossessionati dal tema del crescente divismo degli chef. Un congresso di cucina non mi sembra la sede deputata a contestare la troppa attenzione ai protagonisti del food, e a me pare, che al di là di idiosincrasie personali verso l’esibizione di una certa gastronomia attenta e ricercata, siano tre giorni piacevoli in cui il contatto con il cibo è tattile e l’atmosfera è di contagiosa passione. La sensazione vale per tutto ciò che accade all’interno dell’area dedicata: non è importante che si parli di un piccolo pezzo di pizza assaggiato ad uno stand, un dolce fiammingo, la carbonara di Pipero (e la sua discutibile versione futuristica, con richiami orientali e altri eccentrismi stanchi) o le invenzioni di Bottura, Cracco e della bravissima Cristina Bowerman, per citare i nomi più noti. Insomma si respira una bella atmosfera e questo fa il 50% di una manifestazione del genere. Poi, al sottoscritto, con una sezione chiamata Identità di pasta, lo si finisce inevitabilmente per conquistare, anche se usarla nel dessert come fa Alessandro Gilmozzi non mi scalda il cuore.
Cento produttori che non lasciamo il segno con un dominio di Veneto e Toscana, troppo poco sud, zero ricerca e un numero eccessivo di etichette industriali che non hanno grande motivo di esistere all’interno di una manifestazione del genere (vedasi i vari Cecchi, Ca’ Del Bosco, o le troppe aziende produttrici di Prosecco presenti). Si finisce insomma per non scoprire quasi nulla.
Tra gli assaggi effettuati comunque le migliori cose sono arrivate da Zorzettig, buona azienda friulana di cui convince in particolare la Malvasia istriana e dai rossi di Vajra (piacevoli Barbera e Nebbiolo). Pochi sussulti in area champagne e metodo classico: al di là dei soliti noti, tra le bollicine svetta un po’ l’Athetis Brut di Kettmeir di Caldaro, autore anche di un profumatissimo Muller Thurgau.