C’era un volta una terra lontana, la Sicilia. Nessuno guardandola dall’alto lo avrebbe detto: c’era il sole, un mare stupendo e una natura rigogliosa. Eppure era malata. Nessuno riusciva a trovare un rimedio alla malattia. Non si sapeva nemmeno con precisione come e quando si fosse sviluppata, ma tutti sapevano qual era il suo nome: “Mafia”.
Alcuni medici avevano intuito che l’unico modo per distruggerla era la prevenzione, capire cioè da dove avesse origine per evitare che trovasse ancora delle cellule sane da infettare.
Un giorno alcuni tra questi medici pensarono che lavorando insieme avrebbero potuto unire le loro conoscenze e trarne una nuova forza. In questo modo la malattia avrebbe trovato più difficoltà ad ucciderli tutti. Allora decisero di costituire un pool.
Se un esercito vuole vincere una battaglia deve essere compatto. Non può pretendere che siano pochi eroi a sconfiggere gli avversari. Invece in questo schieramento di uomini valorosi si era inserito qualche soldato che li ostacolava: uno sgambetto al compagno che stava a fianco, un’informazione passata agli avversari e nessuno che riuscisse a capire chi fossero questi uomini. Talpe le chiamavano, per la loro capacità di lavorare nel buio, di far sparire la terra sotto i piedi ai compagni.
Morirono in poco tempo gli eroi più valorosi: Costa, Chinnici, Giuliano, Basile, Cassarà, Montana…fino ad arrivare ai due Primari: il dottor Falcone e il dottor Borsellino.
Morirono perché erano soli.
All’inizio la reazione fu forte. Grazie all’impegno nel giro di pochi anni molte cellule pericolose vennero isolate. La malattia faceva grande fatica a diffondersi. Allora si adattò. Capì che se le persone avessero smesso di morire tutti avrebbero pensato che fosse stata debellata. E così fu: la mafia continuò a contagiare, ma smise di uccidere.
La soluzione aveva funzionato: “La mafia non uccide più, non è più pericolosa”. Nelle tv e sui giornali se ne parlava ancora, ma, concretamente, la gente che faceva? Niente! Si era chiusa in una colpevole indifferenza. La Mafia aveva vinto.
Oggi, fortunatamente, la mafia è in difficoltà. La gente ha il coraggio di parlare. Ai bambini non viene insegnato di “non impicciarsi nei fatti degli altri”, ma di gridare il “no” alla mafia, di non creare di nuovo le condizioni perché la malattia torni a diffondersi. Questo era stato il peccato più grande di Falcone e Borsellino, aver insegnato alla gente che la paura è l’alimento della mafia. Cosa può fare un nemico se l’avversario non ha paura? Ucciderlo. Niente di più. Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore solo una volta.
La mafia aveva creato corruzione e miseria. Brutti ricordi. Storie che i più anziani raccontano ai bambini prima di andare a dormire. Raccontano di un mondo in cui si viveva male, dove ogni giorno si combatteva una battaglia per sopravvivere. I bambini sorridono, pensando che sia una fiaba. Ma noi sappiamo che in una terra lontana, tanti anni fa, tutto questo è accaduto davvero.
Marco Conti Gallenti