Ripercorrere i passi di uomini, ripercorrere i sentieri del coraggio e dell’amor patrio.
Il rapporto tra la mafia e i giovani si prefigura come pulsione-repulsione, come una spinta demolitrice-costruttrice, come una carica di rabbia e di rivolta, come la voglia necessaria dell’essere-nel-mondo. Quante volte il negazionismo prende il sopravvento, “La Mafia non esiste”, o peggio dilaga l’indifferenza, “La Mafia è lontana da noi”, e si fa finta di non vedere, per non osservare, al fine di non ascoltare così da, in ultimo, non denunciare.
La cultura e il coltivare l’ “anti-mafia” non è un condizionamento intellettuale o cognitivo, ma è un dovere di coscienza morale, necessitante di radici in ognuno di noi, ben lontano dalla repressione; è il bisogno di conoscere sé stessi dello gnòthi seautòn.
Il silenzio degli innocenti, il nostro silenzio, ad oggi, fa ingrassare i colpevoli, fa ingrassare il Mostro e adduce alla società civile la responsabilità di tutto ciò. Il segreto sta nella reazione e nell’entusiasmo. La legge del più forte è una totale follia. Follia che avverte il bisogno atavico del cessare e noi dobbiamo fare in modo che tutto ciò abbia una fine; per far sì che la lotta tra Stato e Anti-Stato finisca dobbiamo livellare gli angoli spigolosi, le cuspidi che dilagano nelle nostre personalità, e solo in fine rendere tutto ciò come fenomeno sociale. La lotta alla Mafia trova il passaggio imprescindibile nel ricordo e nella persistenza della memoria. Un ricordare che deve avere come elemento costitutivo le giovani generazioni, non eclissando lo slancio vitale della leggera brezza che le avvolge, che permette loro di urlare contro il volto buio dell’omertà e che costituisce il volano del processo. Riversare 20.000 giovani nelle strade di Palermo, nel giorno della Strage di Capaci, nel giorno in cui la giustizia perse l’emblema pregnante nella figura di Giovanni Falcone, nel quale l’Italia perse l’unico dei suoi uomini che riuscì ad essere vincitore seppur continuamente sconfitto, è il grido di rinascita di quella luce che, come nei tramonti d’autunno, si fa sentire più forte allungandosi oltre le tenebre. E’ il permettere alla vita di camminare sulle nostre gambe e dentro di noi. Tutta l’adrenalina deve essere convogliata, solcando il mare, nella direzione di Capaci. La Nave della Legalità non deve rimanere solo un evento istituzionale, ma deve prender parte alla formazione delle nostre personalità nel collettivo, dilaniando e sgretolando le barriere del silenzio, come un boato assordante e che tutto fa tremare.
Eliminare le idiosincrasie, affinché l’opinione pubblica, la “Serva Italia” continui a cavalcare l’onda dell’entusiasmo del pool anti-mafia, di Falcone, di Borsellino, di Chinnici, di Dalla Chiesa, della fede nella giustizia e della voglia di respirare profondamente aria pulita, lasciando marcire il “Carciofo” e le contornanti “Cosche”, sovvertendo la “Cupola” e con delle spade di legno sconfiggere la “Piovra”.
Lorenzo Serafinelli