Non è vero che gli affari nei paesi in via di sviluppo si concludono solo a suon di mazzette, come dice Silvio Berlusconi commentando lo scandalo Finmeccanica. Né che oliare i meccanismi competitivi con le tangenti sia l’unico modo di affermarsi su altri gruppi a livello internazionale. “Usa, Francia e Inghilterra negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante per punire le loro company coinvolte in episodi di corruzione, compiendo sforzi normativi importanti” Gustavo Piga, economista ed esperto Ocse su appalti e trasparenza prende la questione molto sul serio. “Le dichiarazioni di Berlusconi sono vecchie, forse erano vere 20 anni fa. Oggi i contratti internazionali premiano anche i più bravi”. Non solo la competenza è tornata ad essere un valore, ma molti gruppi stranieri sanno che la corruzione può costare multe salatissime.
I gruppi statunitensi, ad esempio, fanno i conti con la severa legge del Foreign Corrupt Practices Act . Una normativa recentemente riformata, ma che ha mosso i suoi primi passi già nel 1977, dopo lo scandalo Lockheed. Basta dare un’occhiata al sito del Foreign corruption practices act per farsi un’idea del livello di trasparenza con cui è affrontato il tema.
L’elenco delle corporation multate dalla legge statunitense per le loro infrazioni è lungo e pieno di cifre a sei zeri. L’episodio più recente coinvolge la Johnson and Johson, accusata di aver corrotto medici e pubblici amministratori in diversi paesi europei e in Iran per garantire le vendite dei propri prodotti. Una condotta che costerà alla J&J ben 70 milioni di dollari. Nell’elenco compaiono anche la Monsanto e la Siemens, quest’ultima costretta nel 2008 a pagare una multa da 450 milioni, la pena più severa mai stabilita per questo genere di violazione.
Quel che Berlusconi ha anche dimenticato è che l’Italia ha ratificato la Convenzione Ocse sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali. Uno strumento fondamentale per frenare l’esportazione di corruzione, dato che i 39 paesi firmatari sono responsabili di due terzi delle esportazioni mondiali e tre quarti di investimenti esteri. Dal 2000, quindi, anche nel nostro Paese la corruzione estera costituisce un crimine.
Certo il problema della corruzione esiste, ed è particolarmente grave nei paesi in via di sviluppo e in alcune settori cartellizzati e problematici come la difesa. “Ma anche i paesi in via di sviluppo si stanno muovendo per arginare il fenomeno – continua il professor Piga – Non a caso l’India ha annunciato di voler rinunciare alla commessa Finmeccanica” (leggi l’intervista a Swati Ramanathan, fondatrice dell’associazione anticorruzione indiana I Paid a Bribe).
Piga mostra ottimismo per il futuro. “Penso che le notizie sempre più frequenti di scandali di corruzione non costituiscono necessariamente un dato negativo”. Secondo l’esperto i numeri crescenti non coincidono necessariamente a un fenomeno in crescita, ma a una tolleranza che va pian piano diradandosi. “Segno che il dna degli italiani sta forse lentamente cambiando”.