E' il risultato di un progetto avviato nel 2007 ed è in grado di cogliere le sottigliezze e le sfumature a livello di comunicazione, migliorando così l’interazione uomo-macchina. Mette ordine nel caos dei Big Data come nessun'altra macchina sarebbe in grado di fare
Il super computer Watson è ora accessibile agli studenti. Obiettivo: rendere utilizzabile la montagna di dati proveniente da Internet usando la nuova generazione di intelligenza artificiale. Un esemplare del super computer Watson ha trovato posto tra le mura del Rensselaer Polytechnic Institute, un’università di ricerca nello stato di New York. Watson è il risultato di un progetto IBM avviato nel 2007 e che ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica in occasione della sua presentazione nel 2011, quando ha partecipato (e vinto) a un’edizione speciale del quiz televisivo Jeopardy!, popolarissimo negli Usa.
Super, ma diverso – Quando si parla di super computer, di solito, l’attenzione si concentra sulla pura potenza di calcolo: migliaia di processori, memoria da record e capacità di elaborazione che raggiunge livelli astronomici. Tutti dati impressionanti, ma ancora insufficienti per affrontare le sfide più impegnative. Dalle parti di IBM, hanno quindi pensato di andare oltre, dotando il loro super computer di un modello di ragionamento diverso. L’obiettivo dei 90 ricercatori che hanno creato Watson era quello di superare il classico concetto di “calcolatore” per approdare a una dimensione di macchina che “pensa” e “impara”. A spiegare meglio le peculiarità di Watson è Roberto Sicconi, uno dei tre ricercatori italiani che ha partecipato al progetto.
“I normali computer eseguono semplici ricerche per parole chiave. Per trovare tra i risultati proposti la risposta che si sta cercando davvero, però, è necessario l’intervento umano. Watson opera in maniera diversa. Quando gli viene posta una domanda, cerca di capire meglio cosa stiamo cercando, fa ipotesi multiple sul significato della domanda e avvia ricerche in parallelo. I risultati vengono analizzati e filtrati, ordinandoli per trovare quella più pertinente alla domanda che è stata posta”. Al di là dei tecnicismi, il risultato del sistema è quello di ottenere, piuttosto che una ricerca, una vera risposta. Possibilmente rapida, precisa e coerente con la domanda che è stata posta.
La prova del quiz – L’aspetto più suggestivo di questa modalità di ricerca è la capacità di Watson di comprendere il linguaggio umano, che i normali calcolatori faticano a decifrare in maniera corretta. In particolare, è in grado di cogliere anche le sottigliezze e le sfumature a livello di comunicazione, migliorando così l’interazione uomo-macchina e portandola a un vero livello di dialogo. Il primo banco di prova a cui è stato sottoposto pubblicamente è stata una sfida a Jeopardy!, il popolarissimo show in onda negli Stati Uniti dal 1964, in cui i concorrenti sono sottoposti a domande di cultura generale nella classica formula del quiz televisivo. Le difficoltà per un computer nell’affrontare una prova del genere è dovuta al fatto che le domande sono spesso ambigue, indirette o addirittura fuorvianti. La sfida si è tenuta nel 2011 e Watson ha sfidato i più grandi campioni nella storia del quiz. Il risultato è stato incoraggiante: Watson ha inciampato in un paio di occasioni, ma è riuscito a battere i concorrenti umani. La vincita, ovviamente, è stata devoluta in beneficienza.
Caccia ai Big Data – Per quanto strabiliante possa sembrare la capacità di riconoscere il linguaggio naturale, questa caratteristi ca di Watson è però solo la cima dell’iceberg. L’adozione di un sistema come quello di Watson va oltre la comprensione del linguaggio umano e apre nuove frontiere nell’analisi dei dati. Ma quali sono le possibili applicazioni di un simile computer? Il primo obiettivo sono i cosiddetti Big Data, ovvero la somma di informazioni che “circolano” su Internet in maniera più o meno incontrollata e provenienti da siti web, social network e qualsiasi altra fonte si possa immaginare. Una montagna di dati che, secondo le ultime stime, è destinata a passare dai 1200 exabyte (miliardi di gigabyte) del 2010 a 35000 exabyte nel 2020. Dati che fanno gola a molte aziende e professionisti, ma che sono terribilmente difficili da organizzare e analizzare. Il normale sistema a “parole chiave” usato per i dati strutturati (come quelli di una banca dati) in queste condizioni non permette di cavare un ragno dal buco.
E qui entra in gioco Watson: la sua capacità di analizzare i dati mettendoli in relazione tra loro permette di mettere ordine nel caos dei Big Data come nessun’altra macchina sarebbe in grado di fare. La collaborazione con il Rensselaer Polytechnic Institute (RPI) punta proprio ad ampliare le applicazioni del computer. Il prototipo a disposizione degli studenti ha dimensioni inferiori rispetto a quello su cui si sta lavorando a livello di ricerca, che dispone di funzioni specifiche per altri ambiti. “Il Rensselaer Polytechnic Institute è specializzato nell’elaborazione di dati strutturati. L’obiettivo è quello di offrire agli studenti dell’università la possibilità di utilizzare una macchina evoluta come Watson per fondere i due metodi e migliorare le capacità di analisi dei Big Data”. L’idea, in pratica, è quella di aprire l’accesso al sistema all’ambiente accademico, creando un ambiente condiviso di sviluppo più ampio possibile. La collaborazione con l’RPI sarebbe quindi un primo passo in questo senso, anche se ancora a livello sperimentale.
Il futuro – Il passo successivo nello sviluppo di Watson sarà quello di dotarlo di una maggiore capacità di interagire con le persone. “Nel caso in cui la domanda sia incompleta o contestualizzata da un elemento che non è stato esplicitato, la macchina potrà chiedere chiarimenti per comprendere meglio il significato del quesito”, spiega Sicconi. L’ambito in cui gli sviluppatori stanno spingendo la ricerca è quello della medicina, in cui l’analisi di dati complessi permette di arrivare a diagnosi e valutazioni estremamente accurate, incrociando informazioni diverse per arrivare, ad esempio, al dosaggio ideale di un farmaco bilanciando in maniera ottimale efficacia ed effetti collaterali. Anche in questo settore la sperimentazione coinvolge altre realtà, tra cui il Memorial Sloan-Kettering Cancer Center, che dal marzo dell’anno scorso utilizza Watson per elaborare i dati disponibili in campo oncologico e definire trattamenti personalizzati per i singoli pazienti.