Prosegue il nostro viaggio nel mondo della musica indipendente e andiamo a conoscere i veneti MiSaCheNevica, terzetto che si rifà, nello stile, alla tradizione del rock chitarristico di estrazione “Post Grunge”, cosa che risulta dall’ascolto per via di una registrazione su nastro analogico e in presa diretta, con un approccio quasi casalingo nel confezionamento di melodie che rimandano alle sperimentazioni coraggiose di certo rock informale, con testi che sono un fermo-immagine della nostra società, spaccati di vita a tratti malinconici, a tratti euforici. Il loro primo disco in studio si intitola “Come pecore in mezzo ai lupi” (Dischi Soviet Studio- Audioglobe), perché a volte i MSCN è proprio così che si sentono, nel tentativo di diffondere la loro musica e attitudine in una realtà che tende ad attribuire molta più rilevanza a prodotti perfetti, studiati, pompati e plastificati (mainstream o indie che siano). “Non siamo ovviamente i soli a vivere questa condizione, né abbiamo esclusivamente incontrato orde di famelici lupi nel nostro cammino – confessa Walter Zanon, voce e chitarre della band, che abbiamo intervistato per saperne di più sulla band –, ma avevamo bisogno di un titolo carino e ci han detto che Rubber Soul era già stato usato da qualcun altro”… Undici brani su cui spiccano, fra tutti, “Retromania” e “Figlio illegittimo di Kurt Cobain”: non poteva mancare un chiaro riferimento a colui che quello spirito più di tutti l’ha incarnato…
Walter mi parleresti di come nascono i MSCN?
I MiSaCheNevica (Walter Zanon, voce e chitarre, Antonio Marco Miotti, batteria e Marco Amore, basso) nascono prima di tutto per soddisfare l’esigenza di creare musica togliendo più possibile le cose superflue, senza paura di risultare scarni. Da qui la scelta di suonare in trio, e quella di usare i nostri limiti tecnici come una caratteristica invece di nasconderli come un handicap.
Da cosa deriva il nome che avete scelto?
Il nome l’abbiamo estrapolato dal romanzo I quindicimila passi di Vitaliano Trevisan, ambientato in Veneto, dove il protagonista descrive la sensazione di magia e di estraneità che dà una bella nevicata al risveglio; per pochi istanti può sembrare splendido e nuovo anche il paesaggio più grigio e noioso. Questa sensazione ci ha fatto innamorare del nome, e l’atmosfera di quel romanzo ha sicuramente influenzato le nostre primissime composizioni. Oggi MiSaCheNevica può essere interpretato anche come gioco di parole sul problema neve in Italia, un paese impregnato di cocaina a tutti i livelli, questo anche per merito degli effetti della legge Fini-Giovanardi, l’idea di livellare le pene per tutte le sostanze ha portato a questa deriva…
Mi spieghi qual è la filosofia in base alla quale avete dato vita a questo album? E cos’è che vi ha ispirato?
Dopo la pubblicazione del nostro primo Ep da parte della Dischi Soviet Studio abbiamo avuto le idee più chiare sulle potenzialità del nostro progetto, e quando ci hanno chiesto di dare un seguito abbiamo immediatamente accettato. Negli ultimi tempi nella musica cosiddetta alternativa sono stati riscoperti gli ’80 e diverse etichette hanno dato vita a progetti interessantissimi che rispolverano le radici dell’indie chitarristico degli Ottanta. Questa matrice nel nostro sound c’è e ci interessava molto coltivarla, ma non sarebbe stato onesto soffocare quella del decennio dopo, quei Novanta che hanno lasciato un segno indelebile nel nostro Dna musicale, anche se, diciamo così, ora non vanno molto di moda.
Tra i brani più belli del disco – sia per la melodia sia per la tematica affrontata – c’è “Retromania”. È un testo ispirato dal libro omonimo di Simon Reynolds?
Nessuno di noi tre ha letto Retromania di Reynolds, ma personalmente ho letto molto al riguardo. Ho un’idea molto cinica, penso che il picco della specie nel rock’n’roll sia già stato raggiunto negli anni Sessanta, ma anche oggi ha tutto il diritto di esistere e qualsiasi persona al mondo può arrogarsi quello di suonarlo, senza essere ossessionata dall’innovazione. Si tratta sempre e solo di canzoni.
Qual è il messaggio che chi ascolta il vostro disco vi piacerebbe recepisca?
Da compositore delle liriche posso tranquillamente dirti che non c’è un particolare messaggio da recepire, ci sono emozioni o sensazioni soggettive da provare forse, e piccole fotografie di vita. Vorremo che chi ascolta vedesse dei colori, percepisse delle figure umane indistinte che cercano di sopravvivere all’interno di paesaggi urbani e non.
Mi spiegate il senso della copertina dell’album?
Jack, il nostro amico fotografo, nonché motivatore, aveva inserito tra gli oggetti nella stanza che faceva da set fotografico questa gabbia con tre Ken (il boyfriend di Barbie) nudi e chiusi all’interno. Ci siamo trovati tra le mani questa foto, la gabbietta con i manichini appoggiata sul divano…Abbiamo pensato che rappresentasse alla perfezione la nostra condizione, l’essere intrappolati, stipati gli uni sugli altri, ma immobilizzati per via della comodità del divano… Era un immagine un po’ inquietante, ma altamente simbolica.
Cosa vi piace e cosa odiate del web?
Ci piace poter ascoltare un sacco di musica, avere risposte disponibili a infinite domande, ci piace la cultura a portata di mano. Ci piace un po’ meno che la democrazia trasversale cosiddetta rischi di diventare superficialità e mediocrità.
Ci sono questioni politiche che vi stanno particolarmente a cuore?
Fatichiamo un po’ a capire come certe band a questa domanda rispondano: ‘La politica non ci interessa’ o ‘Siamo apolitici’. Noi siamo convinti che per quanto cerchiamo di fottercene la politica è la vita e viceversa. Magari puoi non sapere se votare Ingroia, Grillo o Berlusconi, o puoi semplicemente non fidarti di nessuno, ma come gruppo di esseri umani che comunica abbiamo delle idee, dei pareri, ne discutiamo, e quindi facciamo in qualche modo politica. Non siamo un gruppo schierato, anche perché in certe cose siamo molto confusi, ma in molte altre abbiamo le idee chiare: ad esempio detestiamo l’insopportabile velo di razzismo e volgarità che ricopre la nostra Regione. Sia nell’Ep sia nel disco si percepisce un astio della nostra generazione nei confronti della precedente, come se ci avessero bruciato i sogni, viziandoci troppo. Ecco, questi segnali li abbiamo inseriti quasi inconsciamente, ed è stato strano ritrovarli poi durante l’ascolto. A parte la sincerità e il rispetto reciproco, però, abbiamo ben poche soluzioni pratiche da proporre.