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Finmeccanica, la Francia approfitta dei guai italiani: Hollande fa affari in India

Dopo l'arresto del numero uno Orsi per presunte tangenti, il presidente salta su un aereo per Nuova Dehli a caccia di commesse. Eurocopte ha intascato un accordo da 40 milioni di euro per la vendita di sette elicotteri EC135 dal vettore Aviators India con la prospettiva a lungo termine di piazzare ben 50 veicoli

Fra i primi beneficiari dell’affaire Finmeccanica c’è lo Stato francese. Mentre il governo di Mario Monti dichiara di aver fatto tutto il possibile per salvare la commessa indiana, il presidente de la République, Francois Hollande, salta su un aereo per Nuova Delhi per discutere di affari. Con tanto di delegazione industriale al seguito pronta a firmare contratti per nuove commesse. Così mentre Finmeccanica vede a rischio la commessa da 750 milioni di dollari per l’acquisto di 12 elicotteri per lo scandalo delle presunte tangenti, Eurocopter, filiale del gruppo franco-tedesco Eads, ha intascato un accordo da 40 milioni di euro per la vendita di sette elicotteri EC135 dal vettore Aviators India con la prospettiva a lungo termine di piazzare ben 50 veicoli. Non solo: il quotidiano francese Le Monde riferisce come la visita di Hollande, che oggi è a Bombay, abbia accelerato i tempi per chiudere una maxi-commessa da 11 miliardi di euro per 126 aerei Rafale, prodotti dal gruppo della difesa Dassault. Non a caso per il presidente di Dassault, Eric Trappier, la visita di Hollande in India era ”necessaria” per arrivare a chiudere la partita dei Rafale entro la prossima estate: ”Le buone relazioni politiche e strategiche fra i due paesi non possono essere che un punto positivo per l’avanzamento delle negoziazioni che ci riguardano” ha spiegato il manager.

Non è la prima volta del resto che per soffiarci contratti importanti la Francia approfitta della debolezza italiana, causata da affari di mazzette, di tentennamenti politici o di vacatio governativa. In Brasile, ad esempio, secondo quanto riportato dal quotidiano La Stampa del 24 ottobre 2012, il caso dell’ex terrorista, Cesare Battisti, venne montato ad hoc dai cugini d’Oltralpe per far sfumare l’accordo da 5 miliardi tra Finmeccanica, Fincantieri e il ministero della Difesa del paese sudamericano per la fornitura di 11 fregate militari italiane. Lo stesso Battisti, per cui si spese anche la première dame Carla Bruni, che ha rinunciato alla cittadinanza italiana per quella francese ed oggi fra gli ospiti d’onore del Festival di Sanremo, dichiara al settimanale brasiliano Istoe: “L’idea della mia fuga in Brasile è stata di un membro dei servizi segreti francesi”.

Ma le dichiarazioni rese alla magistratura dall’ex responsabile delle relazioni esterne di Finmeccanica, Lorenzo Borgogni, rivelano anche un’altra storia: quella di giro di mazzette per incassare commesse. Borgogni dichiara ai giudici che il “canale privilegiato tra Fincantieri e il governo brasiliano” è il ministro Claudio Scajola, dimessosi poi per un appartamento vicino al Colosseo a lui intestato, ma acquistato ”a sua insaputa” dal costruttore Diego Anemone. Vista la confusione fra Battisti e la vicenda delle tangenti, i francesi tentano di infilarsi nella partita con i cantieri DCNS (finiti anche loro nel mirino della magistratura francese nel 2010 per un affare di mazzette su una commessa in Taiwan), ma non riescono a chiudere l’affare. Le trattative brasiliane, rimaste congelate, sono state riprese solo di recente dal premier Mario Monti e dal ministro della Difesa Giampaolo Di Paola.

Difficile poi dimenticare l’affare della crisi in Libia e l’iperattivismo dell’allora presidente Nicolas Sarkozy, che assieme al premier britannico David Cameron furono i sostenitori dell’intervento delle Nazioni Unite per defenestrare l’ex dittatore Muammar Gheddafi, storico alleato dell’ex premier Silvio Berlusconi, nonché riferimento per le partecipazioni libiche in Italia (Unicredit, Finmeccanica ed Eni). Una partita, insomma, in cui l’Italia aveva in gioco interessi importanti. Ma i francesi intuiscono prima l’evolversi degli eventi in Libia. Riconoscono subito il Consiglio nazionale transitorio libico e il 3 aprile 2011 (la rivoluzione è iniziata appena, il 17 febbraio 2011) firmano un accordo segreto per il petrolio in Libia reso noto dal giornale Liberation. Nella missiva pubblicata dal giornale si parla ”di un accordo sul petrolio siglato con la Francia in cambio del riconoscimento del Consiglio dei ribelli, al summit di Londra, come rappresentati legittimi della Libia” attribuendo ”il 35% del totale del petrolio greggio ai francesi in cambio di un sostegno totale e permanente al Consiglio stesso”. La lettera era inviata all’emirato del Qatar, che aveva fatto da intermediario fra la Francia e il Consiglio nazionale di transizione libico. Per l’Italia, partner numero uno del Paese mediorientale prima della rivoluzione, ci vorranno poi mesi di trattative fra l’Eni e il governo del nuovo premier libico Abdel Rahim al-Kib per ridurre al minimo i danni limitando le revisioni di contratto ai soli ‘‘ai progetti di sviluppo sostenibile, previsti da un memorandum d’intesa”. Questioni di business insomma che portano denaro e posti di lavoro. Una posta per la quale, soprattutto in tempi di crisi, non si esita ad usare servizi di intelligence e, per dirla con le parole di Orsi, ”mediazioni dove consentite”.