Ed eccoli, puntuali come ogni anno, i risultati del World Press Photo, il più importante contest mondiale per quanto riguarda il fotogiornalismo. Ed eccole, altrettanto puntuali, le discussioni, le polemiche, le diatribe attorno a questi “Oscar” della fotografia.
Poi, puntuale anch’esso, attraverso un elettrodomestico, arriva contemporaneamente al WPP anche il Festival di Sanremo.
Embè? Che c’entra? In qualche modo – forse – c’entra, e a me sembra possa esistere un cortocircuito che arriva a metterli in relazione.
Al WPP tutto si gioca, da sempre, sulla foto vincitrice assoluta. Il concorso, infatti, si articola su un gran numero di sezioni, ed ognuna ha i suoi vincitori; tutte le fotografie, comunque, hanno una notizia o un tema “notiziabile” come focus, dunque un intento appunto fotogiornalistico.
Ma succede ad ogni edizione la stessa cosa: in merito a tutte queste sezioni nessuno muove alcuna critica, ed in effetti capita anche di vedere grandi cose; poi arriva lei, la regina, la miss, ovvero la foto dell’anno, e si scatena il putiferio.
Spesso delude, sempre divide, e ci si interroga su quali ingredienti l’abbiano fatta eleggere. Un po’ come per la canzone che vince San Remo.
Ingredienti, si diceva. Ingredienti? Ma perché, un fotogiornalista, come un cuoco, deve soppesare gli ingredienti che sennò la foto-ricetta non viene buona?
Questa la domanda. E una canzone di Sanremo, per vincere, può essere scritta a prescindere o va “pensata per Sanremo”, anche in questo caso con i giusti ingredienti?
Temo sia così. Sia al WPP che a Sanremo capitano eccezioni, ma sappiamo che l’eccezione conferma la regola.
La foto dell’anno del WPP è sempre sull’evento dell’anno. Ma chi lo ha stabilito? Non è nelle regole del concorso. Possibile che non ci sia mai una foto di un evento “minore” che s’imponga – più potente – su tutte quelle relative alle guerre o alle catastrofi più viste?
Dunque, sembra che una logica di audience avvicini il WWP e Sanremo.
A cascata, tutta una serie di pericoli: ma se io, fotografo, ambisco alla vittoria che mi darà fama e visibilità mondiale, posso decidere e operare liberamente, eticamente, sinceramente? O non sono piuttosto portato a fare scelte strategiche? A decidere, anzitutto, di portarmi su avvenimenti “da WPP” (lasciando scoperti luoghi e fatti meno appetibili ma non meno meritevoli di conoscenza); e poi a calcare la mano (e l’occhio) su canoni estetici, spesso forzati, tesi a “iconizzare” le mie fotografie, altro requisito che sembra ricorrente.
Come conciliare la logica della singola foto-icona con quella della narrazione e della documentazione, che nell’insieme di più immagini ha sempre cercato di consegnare al lettore una comprensibilità, sia pure mediata e dunque mai realmente oggettiva? Ce lo vedete Eugene Smith pensare in termini di singola foto?
E torniamo al paradossale incrocio con Sanremo. Anche un bravo cantautore, per dire quello che intende dire, mette in sequenza una serie di brani e realizza magari un concept album, dove esiste una narrazione attorno ad un tema ben preciso. Lo stesso bravo cantautore, se vuole vincere Sanremo, dovrà giocarsi tutto in una sola canzone e in un contesto che lo spingeranno a “cercare la ricetta”.
Molti grandi cantautori non vanno a Sanremo. E molti grandi fotogiornalisti non partecipano al WPP.
Quanto alla foto dell’anno appena proclamata, se devo dire la mia, la trovo una delle più discutibili tra quelle delle ultime edizioni. I famosi ingredienti ci sono tutti, ma manca – credo – quello più importante per una fotografia giornalistica: dire o mostrare qualcosa in più, qualcosa di nuovo, qualcosa che chi guarda scopre attraverso quella foto, superare il déjà vu.
Quest’immagine, prelievo dal flusso di fatti tragici, testimone di lutto e di pianto, intrisa di atrocità ed ingiustizia… risulta quasi algida. Come mai? Cosa è successo? Sono io insensibile, ormai anestetizzato da “un’estetica del dolore”?
Non lo so, però riesco ancora a chiedermi: dove stanno piangendo le madri di quei poveri bambini?