Anche se è il ritorno di Danis Tanovic con "An episode in the life of an iron picker" ad aver stupito (torna a casa con due premi, miglior attore e premio della giuria). L’impressione è che le scoperte più interessanti di questa Berlinale stiano nei premi minori o addirittura fuori dal palmares
Alla fine ha vinto tutto Child’s Pose di Călin Peter Netzer, un film romeno duro e poco conciliante, anche se è il ritorno di Danis Tanovic con An episode in the life of an iron picker ad aver stupito (e torna a casa con due premi, miglior attore e premio della giuria). Eppure l’impressione è che le scoperte più interessanti di questa Berlinale 2013 stiano nei premi minori o addirittura fuori dal palmares.
Quello di quest’anno è stato un festival dominato da figure femminili importanti, e in questo senso le nuove entrate o le attrici meno convenzionali hanno dominato sui grossi nomi. Su tutte spicca il film più apprezzato da pubblico e critica, Gloria di Sebastian Lelio, incentrato proprio su una donna, interpretata da Paulina Garcìa (cui è andato il premio per la miglior attrice come tutti desideravano). Un film tra la commedia e il dramma che racconta un bellissimo personaggio di 50enne cilena che non si arrende a una vita da sola dopo il divorzio. Ovazioni su ovazioni in sala. La Lucky Red ha avuto la prontezza di acquistarne per prima i diritti per la distribuzione italiana e così lo vedremo presto nelle nostre sale.
C’è poi stata la tredicenne sovrappeso di Paradise: Hope, fine della trilogia festivaliera di Ulrich Seidl (il primo episodio visto a Cannes e il secondo premiato a Venezia), dedicata a figure femminili dai fisici molto abbondanti in cerca del loro personale paradiso. C’è stato lo straordinario tipetto di Nobody’s Daughter Haewon, una studentessa di cinema nella Corea del Sud che beve, frequenta uomini e sogna fino a che realtà e fantasia non si confondono sia per lei che per noi, in un film che pare francese e invece è del coreano Hong Sang-Soo (mai arrivato in Italia).
Julie Delpy ha schiacciato Ethan Hawke in Before Midnight, terzo attesissimo capitolo della serie iniziata con Prima dell’alba, che ogni 10 anni ritrova i medesimi personaggi interpretati dai medesimi attori per raccontare la più onesta e sincera storia d’amore e contemporaneità. A quasi settant’anni Catherine Deneuve si è presa sulle spalle tutto un film con Elle s’en va, in cui è un’ex reginetta di bellezza che cerca di rimettere in piedi la famiglia in giro per la Francia. Mentre il volto nuovo di Rayna Campbell era il centro di Layla Fourie (premiato con una menzione speciale), nel suo cercare di tenersi il proprio figlio in una sporca storia di corruzione, cadaveri e intrighi nel Sudafrica. Amanda Seyfried è stata poi Linda Lovelace, la star del porno anni ‘70 protagonista di La vera gola Profonda, nel quasi omonimo biografico Lovelace, film presentato con furore al botteghino nella sezione Panorama. Infine ha deluso Side Effects, film di Steven Soderbergh in cui una vecchia volpe e una nuova leva di Hollywood (Catherine Zeta-Jones e Rooney Mara) cercano di incastrare lo psichiatra Jude Law.
In tutto questo l’unica figura maschile in grado di emergere nella Berlinale del 2013 è stato Joseph Gordon-Levitt in Don Jon’s Addiction, un film che ha scritto, diretto e interpretato (a sorpresa dimostrandosi all’altezza in tutti e tre i ruoli) su un coattissimo palestrato italoamericano porno-affezionato e succube di un’altrettanto coatta e dominatrice Scarlett Johansson. Una commedia sentimentale che grida vendetta contro tutto il resto del cinema sentimentale preconfezionato e fatto in serie.
A cura di Gabriele Niola