Ieri sera ero in piazza De Ferrari, nel cuore bancario di Genova, al comizio di Beppe Grillo. Le stime a caldo parlavano di 12mila presenze: dati ora, clima e spirito del luogo, una folla straordinaria.
Galvanizzata da un show-man con antenne sensibilissime agli umori della platea; che dunque metteva nella performance tanto lavoro e questione sociale, pochissima xenofobia e paraleghismi.
Nel pomeriggio avevo incrociato un autorevole esponente del Pdl con cui talvolta chiacchiero. La sua espressione – di una particolare cupezza – mi ha indotto a pensare che il suo boss Silvio Berlusconi ha esaurito barzellette e spinta propulsiva: ormai non ci credono più neppure loro. Di conseguenza, il recupero elettorale del “pericolo pubblico numero uno della politica italiana” che continua a essere strombazzato, ormai è solo
un’invenzione drammatizzante e ricattatoria per riaggregare consensi attorno alla mediocrità, priva di qualsivoglia appeal, incarnata da Pierluigi Bersani e compagnia.
Sicché, alla luce degli elementi ricavati da questo barometro politico rozzo e casereccio, mi permetto di avanzare una mia personale previsione statistica sullo stato dell’arte odierno circa gli orientamenti elettorali, ripartiti tra quattro retoriche:
1. Retorica dell’establishment con spruzzate sociali & progressiste (da Bersani a Vendola): 35%;
2. Retorica dell’establishment di pervicace indirizzo conservatore & liberista (da Monti a Giannino): 15%;
3. Retorica del chissenefrega e del nostalgico revanscista (da Storace a Maroni passando per Berlusconi): 25%;
4. Retorica dell’altrapolitica, demonizzata come “antipolitica” dai violini e lacchè mediatici dell’establishment, (da Grillo a Ingroia): 25%.
Se così stanno le cose, il 25 febbraio prossimo si configura un pareggio tra establishment e anti-establischment, sebbene il primo mantenga una capacità di fare coalizione infinitamente superiore rispetto al secondo: mentre Bersani e Monti flirtano anzitempo, un accordo con Berlusconi di Grillo e/o Ingroia risulta impensabile prima ancora che impossibile. Sia come sia, il pareggio significa stallo, con il più che probabile esito di
riportarci alle urne a breve giro di posta. Ma con un vantaggio acquisito, anche in tale caso: nulla sarà più come prima, dopo la sberla di un quarto
dello spazio istituzionale occupato dall’altrapolitica. Sberla infinitamente più efficace perfino di un 50% di non-voto, che non avrebbe nessun impatto diretto sulle logiche spartitorie degli organigrammi pubblici.
Un dato – dunque – che potrebbe avere effetti accelerativi per il riallineamento generale del personale politico su criteri minimi di decenza e rigore. Con di più il sollievo che la prossima volta – se tutto va come deve andare – non avremo più in campo “il molesto dei molesti” Silvio Berlusconi (con relativo scioglimento della compagnia di guitti che si trascinava dietro in quanto capocomico: dalle Santanché ai Verdini). Probabilmente toglierebbero il disturbo altri “mediamente molesti”, tipo i Montezemolo per arrivare ai professori bocconiani docenti di luogo comune.
Probabilmente anche l’altrapolitica dovrà rimeditarsi alla luce del successo: è auspicabile che emerga al suo interno un barlume di nuova classe politica e che – comunque – il solipsismo narcisistico dei suoi padri-padroni inizi a placarsi davanti alle nuove responsabilità. Il discorso genovese tenuto ieri sera da Grillo mi è parso – al di là del folklore e delle gag da personaggio – perfettamente in carreggiata rispetto agli standard di un progressismo serio e costruttivo (sperando non si tratti solo di un’abile concessione alle antiche tradizioni democratiche del luogo).
Forse Ingroia avrà compreso nel frattempo le ragioni per cui i suoi stessi sponsor iniziali lo considerino attualmente “un’occasione mancata”.
Tutto questo per dire che le imminenti elezioni vanno considerate come un primo passaggio di un movimento a due fasi. Gli inviti alla responsabilità e il terrorismo sulle conseguenze dell’ingovernabilità vanno respinti nella consapevolezza che la fuoriuscita dal degrado politico non può avvenire senza l’attraversamento di un lavacro, quale indispensabile premessa alla rigenerazione.
Dunque, niente paura: c’è la concreta possibilità che il cerchio stregato della Seconda Repubblica tra qualche giorno inizi a fallarsi: la prossima volta andrà in frantumi. Per ora siamo solo al primo tempo.