Manoscritti/17: poesie di Lorenzo Foltran
L’una la musa dell’altro
poesie di Lorenzo Foltran
Sognarvi entrambe nello stesso sogno,
saltare da una parte
all’altra nell’immagine sfocata
di un acquerello onirico;
dal letto di una all’abbraccio dell’altra
(ma davvero lo voglio?!)
in pochi secondi o in tutta la notte.
Inconscio maledetto!
Sfinito nella mente e anche nel fisico,
mi sforzo e provo a uscire
dal sogno scortese che mi trattiene.
Mi sveglio e strappo il foglio.
You and me
A ogni gradino, scala o marciapiede,
qualunque ostacolo ti si presenta,
non guardare per terra,
controllando il passo per non cadere,
perché il suo ritmo batte nel mio cuore.
Guarda piuttosto attorno,
guarda attenta quello che ci succede
e se distrattamente inciamperai
tu non devi temere:
ti cingerò la vita, ti sto accanto,
e abbraccerò con premura il tuo corpo.
Tu con me sei al sicuro.
Fa sempre più male scoprire foto
nuove dove lo baci
in mille modi diversi ogni volta.
Il tempo passa e spero
che tu non gli abbia dato quei baci
che prima erano miei.
Quando nel museo pieno di gente
mi hai baciato a sorpresa
e io “ma a te non piace baciare in pubblico!”
Quando tu mi baciasti
come un uomo bacia la sua donna.
Quando hai detto “ora basta”
prima di ribaciarmi ancora e ancora.
Il tempo passa e spero
che lui non ti abbia dato quei baci
che ti vorrei ridare.
Quando mi hai detto “mi piace il tuo bacio,
mi piace come baci”.
Quando entrai nel bagno e avevi la bocca
piena di dentifricio,
con passione ti presi e ti baciai
senza darti respiro.
E quando ti sei lasciata baciare
dopo versi d’amore.
La luce filtra da sotto la porta
nella camera oscura.
Là fuori tutti sono illuminati
da contatti di Luna.
La vedono, la sentono, la toccano,
di nessuno è la musa.
Entra nel buio solitario: dentro
la luce si fa pura.
Così, magnificata dalla tenebra,
si fa bella la Luna.
La luce flirta da sotto la porta,
presente ma soffusa.
“Davvero sono al sicuro con te?”
Ma certo e io sono al sicuro con te.
Perché senza saperlo
con le tue parole mi suggerisci
a bassa voce, brezza nell’orecchio,
amore per amare.
Perché, piccola, tu sei ciò che scrivo.
E anche quando mentre miagoli annusi
il mio cuscino in cerca
di quel profumo che adori e conosci
io ti ascolto e traduco come posso.
Tu il poeta, io la musa.
Con l’alloro in testa eri la Poesia,
la mia rara Poesia
e anche la poesia di tutti quanti.
Ti guardavo nell’ombra,
da lontano come l’autore dietro
l’intrecciato velluto
del sipario contempla la sua diva
adorata dal pubblico.
Le lanciano rose gli spasimanti,
la rapiscono i flash.
Senza di lei la scena, lo spettacolo
non sarebbero veri.
Come vorrebbe tenerla nascosta,
però, dietro la tenda.
Breve discordo
Io scrivo le tue presenze assenti,
le tue astrazioni,
tu sgridi le mie assenze presenti,
i miei contrasti.
Dici che mi vuoi bene, ma lo nascondi bene.
Non pensi di avermi punito abbastanza?
L’assenza della tua assenza rimane.
Un fenicottero rosa che appare
dal nulla della doccia,
con cuffietta per capelli per giunta,
s’insapona le piume,
mentre in strada, fuori dalla finestra,
(o è stata un’altra volta?)
con luce accesa cantano a cappella
ondulati lampioni.
Un vagabondo è in piedi su una sedia
rossa di paglia e legno
e con voce roca abbaia ai passanti
così a te che lo inventi.
Non so se definirti pazza o strana,
visionaria Vavètte.
Non per nulla tu appari come Luna
nel cielo dei miei versi.
Una è la luna. Unica sei tu
(e infinite le notti).
Cambi aspetto, colore, posizione,
così come gli effetti
confortano, confondono, devastano.
Ma talvolta scompari,
nascondi le forme, eppure ci sei,
oltre il buio ti sento.
Conosco la tua figura nascosta,
quella che a me non celi,
vista in altri cieli. Ma poi rispondi:
“Io non sono così”.
Luna che illumini dune di nebbia
in un cielo di sabbia,
nel deserto sono stato un’impronta
cancellata dal vento.
Il tempo soffia e sferza le pianure,
freddo che mai si ferma.
Non c’è tra la polvere la mia forma,
il paesaggio cambia.
Nel deserto ero solo un’altra ombra
inutile di notte,
di giorno pretesto per un miraggio
che vaga tra luci e onde.
Dimmelo tu, mia misteriosa Luna
che cosa sono adesso.
Per te voglio essere la vibrazione
della chitarra elettrica
quando sul palco suona una ballata.
Entrare nel tuo corpo,
dentro, in profondità, farlo tremare.
Fin troppo fremeresti
in ogni tua parte, dentro, nel petto
fino al centro del cuore
e solo qui sprigionerei il potere
del mio brivido ritmico
(altri brividi si aggiungerebbero
alla mia vibrazione).
Ma la ballata si ferma, finisce
come le mie parole
Ho tradito tutte le mie ragazze
con Lara o è meglio dire
che ho tradito Lara con tutte loro…
Perché mi prendo in giro?
Non sento quello che dico, non penso
in vero ciò che scrivo.
Sono un pazzo che sospira e balbetta
frasi senza alcun senso.
Leggo e rileggo ogni componimento,
mi chiedo, è la mia vita?
Aspetta e spera buffone di un poeta,
non c’è risposta a questo.
Ci sei solo tu e chi ami nel copione
il resto sono attori.
Mi chiedono quando ti scorderò
e se c’è una ragazza
che un giorno possa prendere il tuo posto.
Sì che c’è, l’ho incontrata
e ha fallito, per poco, nel suo intento
Non è valso il suo amore
e ora mi sento vittima e carnefice.
Così non è corretto,
hai giocato sporco e al momento giusto.
Hai agito senza sforzo
e mi hai ripreso; oppure è stato il caso
o anche il destino, il fato?
Come e perché davvero non capisco
e in ogni caso io soffro.
Lara, ti penso, ti vedo ogni notte.
Sempre, in stanza solo o al chiaro di luna
sogno, sento e percepisco il profumo
che dalla gialla fragranza di testa
attraverso la passione va al cuore,
dolce patchouli si sprigiona in fondo.
Svelto, da lì, dall’anima, dal fondo
sovrumano incenso vaga di notte,
ispiratore di rime di cuore,
si spande nello spazio della luna
e fa lavorare spirito e testa:
è questo il potere del tuo profumo.
Sicuro che in tutto questo il profumo
che indossi ha un ruolo importante, ma in fondo
si concentra su di te la mia testa,
perché sia il giorno sia la notte
non valgono niente senza la luna,
la padrona assoluta del mio cuore.
Domina battito e fase del cuore
così tempo, ritmo, suono e profumo
fondono insieme per scrivere “Luna”.
Come metalli d’argento li fondo,
(balenanti bagliori nella notte
illuminano del letto la testa).
Note del frutto bergamotto in testa,
pesca, albicocca, le note di cuore
colorano le fronde della notte
mentre un più dolce e tenero profumo
(cioccolato nella nota di fondo)
si diffonde al tramonto della luna.
Inebriato vago per questo luna
park e confuso mi gira la testa:
del sogno non vedo uscita né fondo.
In vero non vuole uscire il mio cuore,
preferisce il caramello, il profumo
dello zucchero filato la notte.
Io ti ho sempre nel cuore e nella testa,
sempre della mia notte sei la luna.
Tu sei la mia musa e profumo in fondo
“Voglio abbracciare te, non il cuscino”
“Piccola, devo andare”
Intanto sorrido e conto le sillabe:
le tue frasi più tenere
le sospiri tutte in endecasillabi.
Per scrivere dei versi
mi basti tu e un letto per coccolarti.
Lascio scorrere piano
le dita sui bei tasti della schiena
che di brividi vibra.
Con amore, così accordata, suoni.
Oh, strumento perfetto.
Ho perso trentatre euro e sessanta,
poteva andarmi peggio.
Tanto ho speso per la tua bella mano,
per la tua scollatura,
per uno, due baci sulla guancia:
vederti costa caro.
Anche perdere sul tavolo verde,
mia regina di cuori,
e sbiancare vedendo il tuo colore
fa bene e male al cuore.
Ma era ovvio che tu mi vincessi ancora
se le carte che scrivo
e che ti ho passato hanno tutte il segno
di quella cosa in pegno.
Ricordarti è per me continua perdita
di memoria, ricordi.
Con tutti, quando parlo del passato
mi accorgo di aver perso
giorni, date, avvenimenti che mai
avrei creduto persi.
Nel pensiero, sempre più sconfinati
i domini di Lara.
I miei giorni passati resi oscuri
da un’eclissi solare,
evento che dovrebbe essere raro
ma che spesso si ripete.
Dormire con te ogni volta è una sfida,
tra il dormiveglia e il sonno
ti abbraccio, ti stringo, continuamente,
cercando la distanza
minima che due cuori tra due corpi
possono conquistare
per ascoltarsi battere a vicenda.
La mattina mi dici,
mentre cerchi di ricordare un sogno,
che la notte ti cerco.
È vero, quando sfinito ti lascio
al tuo sonno bollente,
mi volto verso il fresco del lenzuolo
e al freddo ci sto poco.
Non ci siamo visti all’appuntamento
e non era un buon segno.
Su una panchina e tu davanti al bar
insieme ad aspettare,
così entrambi siamo arrivati prima,
anche tu questa volta
(è per far passare presto l’impegno?).
Seduti al tavolino
forse neanche ci siamo guardati,
ma ricordo il tuo aspetto:
come quando mi hai dato quello schiaffo.
Parliamo, ma del tempo.
Finito l’incontro mi resta solo
che pensare a quel ciuffo
che si posava sulla spalla destra
e ti lambiva il collo.
Capelli sempre curvi alla mia vista
biondi, rossi e già scuri.
Incontrarti. Così, senza motivo,
senza alcun preavviso,
per caso, non sapendo cosa dire
se non un “Lara, ciao”.
Perso in una strada che ben conosco,
sconosciuta d’un tratto.
Dopo il saluto mi sono voltato
(di solito ti guardo
e conto i passi mentre ti allontani).
Ma mentre scrivo, adesso
già ti cerco e ritrovo la tua scia
perduta sul pendio,
non so sciare così resto a valle:
amore di lontano
You and me
Vicini, stretti in un unico abbraccio
sullo stesso cuscino,
così i nostri capelli si confondono,
si intrecciano le lingue
e respiriamo lo stesso respiro,
su un letto sempre sfatto.
Spesso in questo modo passiamo il tempo
che vola, si dilegua.
Dopo infiniti amplessi ti addormenti,
quasi o forse no, tessi
teli blu mentre mangi frutti viola,
bevi bottiglie verdi,
suoni con la mente strani tamburi.
E poi il silenzio, dormi.
La giostra che fa girare la testa
l’appiccicoso zucchero filato
l’infinito lecca – lecca dolciastro
il morso a una stregata mela rossa
la resistente macchina da scontro
nel vuoto luna-park dell’esistenza
Peccato che non ci siamo incontrati oggi…
Eravamo così vicini…
I tre punti alla fine della frase
sono la reticenza
di chi vorrebbe dire ma non dice,
sono l’occhio che ammicca,
l’allusione, sono lo sguardo languido.
Densi come le stelle,
sono un sistema solare che gira
attorno alla sua bocca.
In quei punti sembra esserci tutto
o almeno così pare.
Torno in me, sono tre punti alla fine,
anzi, ce n’è solo uno:
ciò che mai è stato e mai sarà.
C’è qualcosa tra di noi in ogni modo,
in ogni tempo e spazio,
se al telefono un miagolio o un “piccola”
fanno sentire ancora
un’eco: l’una la musa dell’altro
(fotografa e poeta).
Se per ogni volta che vado via
socchiudendo la porta
c’è una volta che ritorno da te,
sotto la pioggia, a casa.
Come la canzone TV e pop corn
siamo quello che siamo.
È solo un altro semaforo rosso
complice sulla strada.
Tu come corpo sei scomparsa ormai,
quasi vago il ricordo
di come sei fatta, della tua forma,
del tuo essere reale.
È svanito tra contatti e sinapsi
anche quel tuo profumo
da donna angelo che portavi addosso.
Ben poco mi rimane.
Mi resta lei, una Lara artificiale,
una figura astratta,
una luce elettrica e cibernetica,
il tuo doppio, il mio doppio.
Ma a te questo davvero non importa,
anzi ne sei contenta.
Nostalgia
Bevendo un infuso dei tuoi profumi,
un continuo futuro,
un presente passato tra il vapore
e l’abisso aromatico
riemerge come un relitto orientale
su rotte abbandonate.
I tuoi silenzi sono frutti rossi
e bacche velenose,
una gomma che non ha più sapore:
ostinato la mastico
mentre mi uccide, mi asciuga la bocca
(male che non si vede).
Nostalgia della tua lontananza,
esotica bellezza.
Fine?
Lontanta, lontana davvero, Lara,
vacilla e poi finisce
il potere che noncurante avevi,
purtroppo o per fortuna.
Talvolta, qualche improbabile sogno,
refuso delle trame
apocrife, lascia il solito segno
sulle carte scomparse.
Decadente amore canta se stesso,
di ricordi inventati,
ignaro della fine e dell’inizio
che non ha conosciuto.
Lontana, lontana sul serio, Lara
da quello che è successo.
Ipotesi di quarta di copertina
L’una la musa dell’altro presenta – nell’oscillazione ambigua del contrappunto, che è costante leitmotiv del libro, lo si legge fin dal titolo – un poeta disorbitato, vittima sacrificale di due forze gravitazionali opposte che lo risucchiano, di volta in volta vincendo momentaneamente l’attrazione dell’altra. Sirene che sono vortici, gorghi incantati (anzi, incantevoli) che governano l’esistenza, vincolandone le azioni, della voce che le narra. Voce, questa, calata nelle vesti personalissime dell’io implicato in vicende terrene che sconfinano spesso la dimensione usuale e mondana (che però è sempre imprescindibile punto di partenza), per appuntarsi – nell’estrema rarefazione del dettato poetico – in riflessioni gnomiche, ragionamenti e considerazioni acuminate, violentemente ironiche, tutt’altro che velati dall’afflizione inquieta di chi, conteso al suo interno dalle due forze estranee che lo trascinano, avverte impotente che la guerra si combatte tutta fuori da sé.
Ritmata da un versificare soggetto sempre al passo posato dell’endecasillabo variato con lo scatto rapido del settenario, la traiettoria del soggetto lirico subisce l’innesto (ed anche questo lo si nota sin dal titolo) d’una tematica a me cara, quella del rapporto – fondativo per l’azione poetica – poeta-musa.
L’amatissimo Raboni, Giudici, Bertolucci, (ma anche Petrarca e la poesia provenzale) aleggiano in questo libro, accompagnandone i versi, e ne sostanziano la materia d’amore.
Dopo la sezione principale – che, ancora, con l’ammiccante ambiguità dell’indeterminato, titola You and me –, le rimanenti due si propongono, nella tradizione della ‘teoria della fuga’, come piani eversivi, evasivi, chiavi o meglio leve che permettano al poeta di scardinare i gangli d’un meccanismo crudele che, inesorabile quanto sanno esserlo le macchine, procede all’annichilimento della sua vittima. Una sera come le altre, seconda, conviviale tranche del libro, e, ultima ratio (ma se si è arrivati a questo punto con gli occhi dell’autore, il titolo non suonerà poi così ironico quanto più che altro atroce), Donne sparse.
L’autore
Lorenzo Foltran è nato a Roma il 23 luglio del 87. Nel Novembre del 2011, ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica con una tesi sul rapporto poeta-musa.
lorenzofoltran@yahoo.it