Il “regista” e “ispiratore” dell”operazione Alexandria è “indubbiamente” l’ex capo dell’area finanza del Monte dei Paschi di Siena Gianluca Baldassarri. Ma i vertici di Rocca Salimbeni “hanno elaborato e condiviso le scelte gestionali” che, di fatto, hanno “compromesso” le condizioni “patrimoniali, finanziarie ed economiche della banca”. E’ un atto d’accusa pesantissimo nei confronti dell’ex vertice di Mps quello riportato nelle 26 pagine dell’ordinanza con cui il giudice Alfonsa Maria Ferraro ha convalidato il fermo di Baldassarri, disponendo la custodia cautelare in carcere.
“I manager hanno elaborato e condiviso scelte i cui profili negativi erano loro bene presenti”. Nel ricostruire il ruolo avuto da Baldassarri nell’operazione, infatti, il Gip chiama direttamente in causa sia l’ex presidente Giuseppe Mussari sia l’ex direttore generale Antonio Vigni (entrambi indagati, ndr). “I manager della banca – si legge nell’ordinanza – ed i soggetti posti a capo delle articolazioni interne hanno elaborato e condiviso scelte gestionali dagli esiti, quantomeno, incerti ed i cui profili negativi erano loro ben presenti con la conseguenza che alcune di dette operazioni risultavano non ostensibili non solo all’organo di vigilanza ma alla stessa società di revisione”. Nel contratto con Nomura il Monte dei Paschi si accollò tutti i rischi dell’operazione, acquistando Btp: ma il decremento dei corsi dei titoli di stato italiani hanno fatto sì che che i depositi inizialmente versati da Bmps a Nomura, 575 milioni di euro, crescessero fino ai 2,2 miliardi nel mese di novembre 2011.
Ma non solo: il vecchio vertice di Rocca Salimbeni non solo nascose il contratto a Bankitalia, ma anche alla propria società di revisione, la Kpmg. “Baldassarri – ha raccontato ai magistrati il suo collaboratore, Gianni Contena – nel luglio del 2009 mi diede una bozza del contratto tra Nomura e Bmps dicendomi ‘questo contratto non esiste'” e che “i vertici erano direttamente coinvolti”. Nel corso del 2010, aggiunge, “quando Kpmg richieste informazioni su eventuali collegamenti tra le due operazioni finanziate nel 2009 (ristrutturazione Alexandria e operazione con Nomura)” Baldassarri “mi ribadì che quel contratto non esisteva e mi ordinò di rispondere negativamente” alla società di revisione. Che i vertici fossero coinvolti lo mette a verbale anche il rappresentante in Italia di banca Nomura, Ricci. “Quando si parlava dell’operazione Alexandria Baldassarri mi faceva capire che i vertici della banca erano partecipi…Inoltre Vigni mi aveva personalmente manifestato il suo auspicio di chiudere l’operazione e Baldassarri più volte mi fece capire che anche Mussari era al corrente“.
Quel che sembra chiaro, a leggere i verbali, è che ognuno chiama in causa qualcun’altro. Vigni tira in mezzo Mussari e, ovviamente, Baldassarri: l’ex capo della finanza di Mps “mi aveva detto che era un documento delicato (il mandate agreement con Nomura, ndr)” dice, aggiungendo che un’ora prima della conference call con Nomura “io e Baldassarri incontrammo il presidente e dissi a Mussari che si trattava di un’operazione utile per la banca.
Baldassarri, a sua volta, scarica su Vigni parecchie responsabilità: “al di là del suo dirsi agricoltore era una persona competente…era in grado di rendersi conto degli impegni finanziari derivanti dall’acquisto di prodotti finanziari anche strutturati”; ma, soprattutto, racconta nell’interrogatorio di garanzia di aver spiegato all’attuale dg Fabrizio Viola l’operazione a febbraio 2012, dunque 8 mesi prima che lo stesso trovasse il contratto nella cassaforte di Vigni, secondo quanto lui stesso ha riferito. “Il collegamento economico tra l’operazione Btp 2034 e la ristrutturazione di Alexandria è stato da me illustrato al dottor Viola nel gennaio/febbraio 2012, prima della mia uscita da Monte dei Paschi avvenuta a fine febbraio. Ho avuto tre riunioni con Viola e in una di queste lui mi chieste le ragioni per cui erano stati acquistati i 3 miliardi di Bpt 2034”.
Quel che “si può affermare” con certezza dall’esame degli atti, conclude il Gip, è che “fino a primavera scorsa le gestione realizzata dal management e dai soggetti che hanno ricoperto ruoli apicali, ha posto l’istituto in una condizione di precario equilibrio economico-finanziario, ben percepito dall’Autorità di Vigilanza che ha eseguito frequenti e specifiche ispezioni”.
Baldassarri al gip: “Volevo trasferirmi a Londra”. ”Era mia intenzione trasferire la mia residenza a Londra e, quindi, iscrivermi in Italia all’ Aire” (l’anagrafe italiana dei residenti all’estero) ha detto Baldassarri al gip durante l’interrogatorio di garanzia che si è tenuto due giorni fa nel carcere di San Vittore. Baldassarri ha anche spiegato che “nel trasferirmi a Londra avrei dovuto anche, per ragioni fiscali, trasferire lì dei fondi in sterline. Prima di partire per le Maldive – ha aggiunto – il legale che mi assisteva mi aveva sconsigliato l’iscrizione all’Aire perché avrebbe potuta essere interpretata quale volontà di fuga”. L’ex manager dell’istituto, nel difendersi ha anche precisato di essere “tornato in Italia pensando che sarei stato convocato dalla Procura di Siena ed in quella sede era in mia intenzione esporre il mio progetto di trasferimento a Londra”. Così per sua ammissione l’11 febbraio ha dato ordine di smobilizzare il suo dossier titoli (per circa 1 milione di euro, ndr) “proprio per acquistare le sterline da trasferire in un istituto bancario londinese, se io avessi avuto l’autorizzazione della magistratura senese”.
L’ex capo dell’area Finanza di Mps ha voluto poi sottolineare che “l’ordine di liquidazione è stato impartito a me per telefono e che avrei potuto dare tale disposizione anche all’estero. Invece io ero in Italia in attesa della convocazione da parte della Procura di Siena”. Quanto all’appartamento di Miami, un altro dei motivi che hanno portato inquirenti e investigatori a ritenere che l’ex manager potesse fuggire Baldassarri ha spiegato che essendo “stato disposto il sequestro mi sarebbe impedito l’accesso”. Inoltre ha anche sostenuto che riguardo al sospetto di inquinamento probatorio (per i pm non appena rientrato in Italia avrebbe tentato di contattare un teste che doveva essere sentito la mattina dopo) si è trattato solo di una telefonata “partita inavvertitamente “ dal suo cellulare verso il telefono del testimone e che comunque “non c’è stata nessuna comunicazione tra di noi”.