La bassa crescita dell’Italia dipende da molteplici fattori. Tuttavia spesso si trascura il peso del deficit di innovazioni nell’organizzazione del lavoro e dello scarso coinvolgimento di dipendenti e rappresentanze sindacali. Il nostro paese è in questo campo uno dei fanalini di coda in Europa.
di Paolo Pini (Fonte: lavoce.info)
Gli investimenti e la produttività del capitale
In un recente intervento su lavoce.info Daniel Gros osserva che la bassa quota del rapporto investimento/reddito in Italia non risulta dai recenti dati dell’Unione Europea: nel periodo 1999-2008 è pari al 20,9 per cento, mentre la media per l’Unione Europea è il 20,8 per cento, con la Germania al 18,9 per cento. Gros evidenzia che il problema non sta nel basso investimento, quanto nella bassa efficienza marginale del capitale: l’Italia primeggia in negativo, ovvero per il basso contributo di produttività che dal capitale investito si ottiene.
Il contributo scarso offerto dall’efficienza del capitale è probabilmente un fattore che spiega la stagnazione della produttività e del reddito. Gros richiama questo fattore per associarlo al sistema finanziario, che dovrebbe guidare le scelte di investimento delle imprese, e attribuisce al mercato del credito e dei capitali una possibile responsabilità. Il richiamo è quanto mai opportuno dato lo stato dei mercati dei capitali, stressati dal credit crunch, e dall’altrettanto importante speculative crunch.
La diffusione di innovazioni nell’organizzazione del lavoro
Spesso si trascura però che gli investimenti in capitale, e quindi la produttività di quest’ultimo, dipendono in modo significativo da altri investimenti che le imprese fanno, o dovrebbero fare, sull’organizzazione propria e del lavoro, con pratiche innovative fondate sul coinvolgimento nei cambiamenti di lavoratori e sindacato, per una migliore qualità di prestazioni e condizioni di lavoro: sono quelle che nella letteratura vengono definite best work organization practices e che, assieme all’innovazione delle tecnologie (incorporate in beni capitali) e dei prodotti, consentono di realizzare gli incrementi di produttività che sostengono la crescita. (1)
Il nostro paese come si colloca quanto ad adozione di best work organization practices?
Una risposta la troviamo nel rapporto dell’Eurofound, che ha condotto una indagine per i paesi europei coinvolgendo più di 27mila stabilimenti, industriali e dei servizi. (2) Vi sono analizzati cinque gruppi di pratiche di lavoro: (a) flessibilità degli orari, (b) retribuzioni legate alle performance, (c) formazione, (d) lavoro a squadre di lavoro con autonomia decisionale, (e) coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze nel definire l’organizzazione del lavoro.
La tabella 1 evidenzia la diffusione dei cinque gruppi di pratiche. La flessibilità dell’orario di lavoro e la formazione sono quelle più diffuse, in un terzo degli stabilimenti; ma anche quelle meno diffuse, gli incentivi finanziari ed economici e il coinvolgimento dei lavoratori, sono comunque presenti in circa un quarto degli stabilimenti. In circa un terzo degli stabilimenti si utilizzano almeno due gruppi di pratiche innovative. Il fenomeno della adozione multipla è da rimarcare, in quanto si ha il noto effetto di complementarietà, secondo il quale i benefici totali dell’adozione in cluster sono maggiori della semplice somma dei benefici derivanti dalle singole pratiche.
Tabella 1: Diffusione di pratiche innovative e loro frequenza (Eurofound, 2011, p.11)
Questa è la situazione in Europa. È interessante vedere cosa avviene nei singoli paesi. La tabella 2 mostra inequivocabilmente come l’Italia sia indietro rispetto a gran parte dei paesi. Il nostro paese primeggia in negativo per la quota di luoghi di lavoro che non adotta nessuna delle pratiche di lavoro considerate: ben il 51 per cento contro una media del 32,5 per cento. Su trenta paesi, sotto l’Italia troviamo solo Malta, Turchia e Grecia.
Quanto alla quota di luoghi di lavoro in cui si adottano pratiche appartenenti ad almeno due dei cinque gruppi considerati, e dove dunque si esplicano gli effetti di complementarietà, in Italia sono solo il 17 per cento; peggio fanno solo le solite Malta, Turchia e Grecia, a cui si aggiungono Ungheria e Cipro. La Germania fa due volte meglio dell’Italia (38 per cento), mentre paesi del Nord Europa fanno tre volte meglio (55 per cento e più per Finlandia, Svezia, Danimarca, Olanda).
Tabella 2: Diffusione di pratiche innovative e frequenza, per paese (Eurofound, 2011, p.12)
Effetti sulle performance
Ma perché è così rilevante l’adozione di best work organization practices?
La risposta la fornisce lo stesso studio Eurofound. La figura 1 presenta gli effetti marginali indotti dalla adozione (distinta) dei cinque gruppi di pratiche di lavoro su quattro indicatori di performance: (i) clima lavorativo; (ii) assenza di problemi nella gestione risorse umane; (iii) performance economica; (iv) produttività. Solo la flessibilità oraria induce effetti deboli sulle performance, mentre formazione, coinvolgimento dei lavoratori e delle rappresentanze, gruppi di lavoro hanno effetti fortemente positivi sia su condizioni lavorative e gestione delle risorse umane, che su performance economiche e produttività; mentre gli incentivi economici e finanziari per i lavoratori evidenziano alcune problematiche sulla gestione delle risorse umane, ma non su altri aspetti.
Quindi vi sono evidenti vantaggi in Europa dall’adozione di best work organization practices. Eppure, in questo campo, l’Italia è quasi fanalino di coda.
Tabella 3: Effetti marginali dell’adozione di pratiche innovative sulle performance (Eurofound, 2011, p.15)
Questi risultati inducono a ritenere che oltre ai fattori concorrenziali sui mercati di beni e servizi (ove l’Italia non primeggia in Europa) e del lavoro (dove invece l’Italia primeggia per flessibilità esterna all’impresa e dualismo), oltre alla scarsa efficienza dei mercati del credito come segnalato da Daniel Gros, opera in Italia un fattore fin troppo trascurato: best work organization practices. Esso ha strette sinergie con l’innovazione tecnologica incorporata nei beni capitali, quindi con gli investimenti, e con le innovazioni di prodotto che le imprese realizzano. (3) La carenza di questo fattore può spiegare anche la bassa produttività del capitale in Italia. La quota di investimento sul reddito potrà anche essere adeguata, ma manca l’investimento in innovazioni organizzative del lavoro, che a quel capitale fisico sono complementari.
(1) Per una rassegna della letteratura sulle best work organization practices si veda Leoni R. (2013),Organization of Work Practices and Productivity, in Grandori A. (ed.), Handbook of Economic Organization. Cheltenham, Edward Elgar, forthcoming.
(2) Eurofound (2011), HRM Practices and Establishment Performance, Eurofound, Dublino (http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2011/69/en/1/EF1169EN.pdf),
(3) Si veda Antonioli D., Bianchi A., Mazzanti M., Montresor S., Pini P. (2013), Innovation Strategies and Economic Crisis, Economia Politica, 30(1), forthcoming. Antonioli D., Mazzanti M., Pini P. (2010), Productivity, Innovation Strategies and Industrial Relations in SME, International Review of Applied Economics, 24, pp.453-482. Pini P., Santangelo D. (2005), Innovation Types and Labour Organisational Practices, Economics of Innovation and New Technology, 14, pp.251-276. Santangelo D., Pini P. (2011), New HRM Practices, and Exploitative and Explorative Innovation, Industry and Innovation, 18, pp.611-630.