La bozza di emendamento è già pronta: entro il mese prossimo, il governo giapponese metterà fine al divieto di utilizzo della Rete a scopi elettorali per i candidati e i normali cittadini nei giorni immediatamente precedenti alle elezioni. A partire dalle prossime elezioni per la Camera alta del Parlamento, che si terranno a luglio di quest’anno, si potrà infatti fare campagna elettorale fino alla vigilia del voto anche attraverso strumenti come l’e-mail, YouTube e i social network: una vera rivoluzione per la libertà di espressione.
Il Giappone è un paese ad altissima densità tecnologica, con un altrettanto alto tasso di accessibilità alla Rete: sarebbero circa 94 milioni i netizens (quasi il 78 per cento della popolazione totale), il 75 per cento dei quali si connette a Internet su banda larga. Alcuni dati emblematici: il giapponese è, a livello planetario, la lingua più usata per scrivere i blog e la seconda più diffusa su Twitter.
Tuttavia, la propaganda politica in Rete è ancora fortemente limitata dalla “Legge per le elezioni ai pubblici uffici” (in giapponese: Koshoku Senkyo-ho). L’articolo 142 proibisce infatti che sotto elezioni, “immagini e testi usati in campagna elettorale” vengano distribuiti, eccezion fatta per un numero ristretto di volantini e cartoline. Un vero e proprio “blackout” della libertà di espressione che può durare da due a tre settimane prima del voto. La legge è figlia del sistema propagandistico giapponese, ancora molto legato ai network informali, ai legami familiari e alle comunità locali.
Oggi, però, la Koshoku Senkyo-ho non risponde più alle necessità del leader politico “social” che per diffondere le sue idee utilizza più di tutto strumenti on line, come Facebook e Twitter. “Gli elettori non possono aprire un sito internet per incoraggiare un dato candidato. Gli elettori non possono trovare informazioni sui programmi dei partiti in Rete. A cominciare dal fatto che non si possono rintracciare informazioni personali sui candidati. Da un ambiente simile non può prodursi un politico affidabile”, scriveva qualche tempo fa Kensuke Harada, attivista per i diritti online e iniziatore della campagna One Voice sul suo blog. “Con la legge attuale, in nessun modo il Giappone potrà diventare un posto migliore”.
La Koshoku Senkyo-ho in origine aveva una ragion d’essere: venne approvata infatti nel 1950 per regolamentare le elezioni nazionali e quelle regionali. In origine nacque per limitare gli episodi di compravendita di voti e per non far prevalere i candidati più facoltosi su quelli con meno risorse finanziarie a disposizione. Tuttavia dal 1946, circa 90mila giapponesi, si legge in un articolo della Stanford Technology Law Review, sono stati condannati per violazioni alle leggi sulla propaganda politica. Nel 2001 il deputato del Partito democratico, Kan Suzuki denunciò le difficoltà di raggiungere i suoi elettori con la legge vigente: era riuscito, a forza di volantini e cartoline a raggiungere solo il 3 per cento del suo elettorato. Se solo avesse potuto usare Internet, i suoi elettori sarebbero stati molti di più.
La notizia della prossima modifica alla legge, è una vittoria soprattutto per Harada e One Voice, che già avevano ottenuto l’appoggio di alcuni candidati alle scorse elezioni per la Camera bassa. Lo stesso Shinzo Abe, attuale primo ministro giapponese, ha dato prova di essere un leader aperto alle possibilità delle nuove tecnologie, aprendo un profilo Facebook dove raccontare il suo lato più privato agli elettori.
Nonostante l’annunciata novità, il legislatore nipponico è sempre cauto sul tema, anche per la paura di possibili attacchi di hacker e frodi online, ai danni degli stessi candidati. Nel giugno 2010, ad esempio, pochi minuti prima dell’elezione di Naoto Kan a primo ministro, su Twitter apparve un suo profilo. Si trattava, naturalmente, di un fake che in pochi minuti aveva raccolto ben 10mila followers e aveva costretto il Partito, il giorno seguente, a dichiarare che non esisteva nessun account Twitter dell’allora primo ministro. La proposta di modifica di legge, conclusa ieri, ha messo d’accordo tutte le forze politiche del Sol Levante. Chissà che sia un passo verso un maggior coinvolgimento dell’elettorato nipponico, tradizionalmente apatico.
Marco Zappa