Domenica 10 Febbraio 2013, una grande libreria del centro.
Il giro in libreria la domenica pomeriggio è un classico della mia vita e di molti altri concittadini. Si curiosa qua e là in cerca di non si sa bene cosa, si guardano le classifiche, dalle pile di libri in bella mostra capisci cosa sta accadendo nel paese. Il Celeste e Ingroia si contendono gli spazi espositivi: il reparto “saggistica” è un mondo a sé in una libreria, a seconda di cosa esponi e di come lo fai il pellegrino della domenica pomeriggio orienta i suoi pensieri e le sue scelte. Raramente i “lettori” sono persone determinate: aspettano gli input dall’esterno e poi valutano. Mi piace, mi interessa oppure no grazie e si passa oltre.
Addentrarsi nei meandri della grande libreria è come percorrere la storia dell’umanità: religione, filosofia, storia, il bene e il male, tutto e il contrario di tutto. Poi il reparto “Mafia”. Lì ci trovi di tutto dalla ‘ndrangheta a Buccinasco al giudice Gratteri. Il mitico capitano Ultimo, la storia lacrimevole del giovane Ciancimino, i manuali che raccontano i riti di affiliazione come fosse una favola per adulti annoiati.
E poi ci sono i grandi assenti. Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, la strage di Capaci e di Via D’Amelio. Niente. Solo la solita Agenda Rossa seminascosta. Nessuno dei libri “di e sul” Dottor Falcone. Pochi passi più in là un reparto, esteso il triplo, sulla seconda guerra mondiale e sulla shoah, il reparto della “memoria”, la voce dei martiri, i volti di quelli ammazzati brutalmente che ci devono ricordare ciò che mai più deve accadere. Giusto. Questo devono fare i libri e le immagini soprattutto: raccontare con le parole e con le immagini storie da non dimenticare. Lo sa bene la Chiesa di Roma che ha costruito un’impalcatura indistruttibile sul potere delle immagini e della narrazione, talmente ripetuta da farsi “tradizione”, verità incontestabile.
Ma così si creano eroi o, nella migliore delle ipotesi, martiri. Magari pure da imitare.
Sabato 23 Maggio 1992, una stazione di servizio sull’autostrada.
E’ quasi l’ora di cena, ho fame e mi fermo in un grande autogrill. Entro, vedo la fila alla cassa, sulla testa della cassiera un grande schermo TV, lei batte gli scontrini mentre i clienti guardano imbambolati il monitor. Io penso che sicuramente sarà una partita di calcio importante ma c’è troppo silenzio. Nessun commento. Alzo lo sguardo incuriosita e vedo un groviglio di lamiere, un cratere sull’asfalto, tanta gente intorno. Sarà un incidente stradale, ma di quelli tremendi per provocare tutto quel disastro: poi sento la giornalista che dice Capaci e quel nome non mi dice nulla.
Quando vedo il primo piano del Giudice Falcone capisco subito. L’hanno ammazzato. Lui lo diceva ma io non pensavo che avrebbero osato tanto. Non il Dottor Falcone. Lui no.
La sensazione più forte è stato un gran dolore che a dire il vero non è mai andato via. Si può voler bene anche a persone che non hai mai conosciuto, almeno personalmente. Io ero cresciuta con Giovanni Falcone, le sue inchieste, le sue interviste da Costanzo. Erano gli anni della Piovra e dei miei esami all’università, ovviamente Facoltà di Giurisprudenza.
Di Lui mi piaceva il suo aspetto poco da “sceriffo” , per nulla da magistrato d’assalto. Forse per la prima volta da Lui ho imparato che più si mira alto e più occorre essere sereni, pacati, pazienti. Ma anche intransigenti. Avevo poco più di vent’anni ed arruolai il Dottor Falcone a mio modello. Leggevo tutto quello che scriveva, mi sottoponevo ad orari per me proibitivi pur di ascoltarlo nelle interviste da Costanzo in tarda serata. Maturai la serissima convinzione che dopo la laurea avrei fatto il concorso in magistratura ed avrei chiesto l’assegnazione a Palermo per andare ad “aiutare” Giovanni Falcone, l’uomo lasciato solo dallo Stato. I miei colleghi di facoltà mi dicevano di non fare la pazza che se andavo a Palermo “campavo poco”, ma io davvero non pensavo che Cosa Nostra avrebbe osato toccare Falcone né tantomeno altri magistrati del pool antimafia. Sapevo bene dei rapporti di Falcone con l’FBI americana e credevo che tutta questa notorietà, tutto questo rispetto lo avrebbe protetto. Ma soprattutto pensavo che Lui fosse di troppo più intelligente dei mafiosi per farsi ammazzare. Per me il bene è sempre più forte del male. Così pensavo all’epoca. E ne sono ancora convinta.
A ripensare adesso a tanta ingenuità me ne vergogno.
In questi 20 anni non ho mai smesso di ripensare con orrore e stupore alle stragi di Capaci e di Via d’Amelio. Ma è lo stesso orrore dello sterminio degli ebrei o delle guerre sanguinarie del ‘900. Quello che invece non è lo stesso è la memoria, la coscienza, la chiarezza di quello che è accaduto nell’estate del 1992.
Chi ha voluto quelle due morti eccellenti e così “educative”, “simboliche” ?, perché con quelle modalità così “scenografiche”?. Domande senza risposta, ancora. Non ci basta sapere chi sono stati gli esecutori materiali. Non ci basta sapere quante sigarette hanno fumato mentre aspettavano a Capaci o quanti chili di tritolo sono stati usati. No, non basta. La morte di Falcone e di Borsellino non è stata ancora metabolizzata dal paese perché ancora non sappiamo chi ha “autorizzato” e “perché”. Ma soprattutto aspettiamo il mea culpa, mea grandissima culpa, da tutti quelli che hanno lasciato solo Giovanni Falcone, che lo hanno accusato di protagonismo, di aver nascosto i nomi dei politici nei cassetti della procura, di essere stato troppo rispettato dai pentiti di mafia. Aspettiamo ancora che lo Stato parli, che la Magistratura parli, che la società civile esiga di sapere.
E invece ancora oggi parlare di Falcone, di Borsellino, della Boccassini è “sconveniente”, se lo fai sei un sognatore oppure un ribelle. Comunque uno fuori dal sistema. Certo i giornalisti possono farlo, alcuni giornalisti, tanto “quelli si sa come sono”. Ma un uomo dello stato no, questo non è accettabile. Lo stato non può prendere a modello uomini come Falcone che, nientemeno, non accettano compromessi, parlano di interesse della collettività, non capiscono che “così va il mondo”.
Lo diceva sempre il Dottor Falcone che bisognava parlare di mafia, che la mafia si nutre prima di tutto del silenzio e dell’indifferenza. Aveva ragione. Ha ragione.
E allora mi chiedo per quale misteriosa ragione un mezzobusto del “nostro” Giovanni Falcone si trova, ormai da anni, nel giardino della scuola dell’FBI a Quantico dall’altro capo del mondo, mentre noi abbiamo si e no qualche strada e qualche scuola intitolata a Falcone e Borsellino. Mi chiedo perché l’FBI americana ha ritenuto essere nell’interesse del popolo americano porre una statua di Giovanni Falcone accanto a quella del Presidente Lincoln mentre a Milano sulla facciata del Tribunale campeggia un enorme telo di plastica con le immagini di Falcone e Borsellino. Un telo di plastica. Nella patria di Michelangelo e dei più grandi scultori mai esistiti al mondo.
Questo è veramente uno strano paese. Un paese che ancora non riesce a fare i conti con ciò che è stato e che probabilmente ancora è, anche se in forme diverse. Forme che parlano di alta finanza, di derivati, di multinazionali, eccetera eccetera.
Di Cosa Nostra non si parla più. Adesso va di moda la ‘ndrangheta e la camorra grazie alle inchieste della Boccassini e di Saviano. Ma la mafia dov’è? Si è estinta? Morte naturale o reincarnazione?
C’è poco da fare, la mafia è li dove è sempre stata, ossia dove sono i soldi. Solo che adesso i soldi, quelli veri, non sono più negli appalti o nella droga. Sono in Borsa, nei mercati finanziari, nelle fiduciarie. Corrono sugli schermi dei computer. Non servono più armi, intimidazioni, tritolo e quant’altro. E’ più che sufficiente un buon mago della finanza e qualche banca a disposizione. La mafia ha cambiato pelle per l’ennesima volta. Solo che noi non abbiamo più il Giudice Falcone.
Luglio 1996, Palermo, via Notarbartolo.
Nel Luglio del 1996 sono andata per la prima volta in Sicilia invitata da un amico messinese. In programma c’è una breve vacanza alle Isole Eolie ma chiedo di visitare prima Palermo. Naturalmente io, in realtà, non desidero affatto visitare Palermo. La meta è via Notarbartolo, la casa di Giovanni Falcone.
Arriviamo a Palermo in macchina, nel primo pomeriggio. Si parcheggia sulla piazza del teatro ed io dopo neanche tre minuti stò già litigando furiosamente con un giovane posteggiatore che tenta di estorcere denaro. Non che il problema fosse quello, i parcheggiatori abusivi sono ovunque. Ma questo non chiedeva, questo esigeva. Esigeva danaro e timore reverenziale. A Palermo si usava così evidentemente. Ho visto il panico negli occhi del mio amico messinese che mentre mi trascinava letteralmente via per un braccio mi sibilava nell’orecchio “ma sei impazzita ?, vedi che qui siamo a Palermo, mica in una città qualunque”.
Fino a via Notarbartolo il poverino si sorbisce tutta una tiritera sulla dignità, sul coraggio, sulla libertà, e via di seguito. Mi guarda in silenzio come se fossi una demente da non contraddire. Tanto io non potevo capire.
Si arriva a destinazione e vedo una via lunghissima in salita davanti a me. Palazzi normali, alberi, negozi. E poi il famoso albero con i messaggi ed i fiori sotto la casa del Giudice Falcone.
Avevo già letto da qualche parte delle proteste del condominio per via delle sirene e del chiasso che facevano le auto di scorta. Una signora del palazzo lamentava di non poter sentire bene la televisione quando a tarda sera Falcone rientrava a casa a sirene spiegate. Diceva che i magistrati “così” dovevano andare a vivere tutti in un unico palazzo possibilmente lontano dalle case. Si chiama ghetto, lazzaretto. Ancora oggi mi si stringe il cuore a pensare cosa doveva provare Falcone a sentire certi ragionamenti. Abito molto vicino all’abitazione di un magistrato sotto scorta e vedo bene cosa possa significare uscire da un portone ed infilarsi rapidamente in macchina. Tutte le sante mattine. E ogni giorno potrebbe essere l’ultimo. Certo per ciascuno di noi ogni giorno potrebbe essere l’ultimo ma il fatto è che loro lo sanno, se lo aspettano.
Naturalmente una volta in via Notarbartolo cerco un fioraio. Possibilmente fiori secchi, che quelli freschi con quel caldo non sarebbero durati nemmeno un giorno. Trovo sulla via il fioraio in questione ed il mio amico, memore dell’episodio al posteggio, si defila con una scusa. Ci rivediamo tra una mezz’ora. Ok, tanto io questa cosa preferivo farla da sola. Non era una gita turistica da fare in compagnia. Era una questione tra me e Giovanni Falcone. Il fioraio è grande e ben fornito, mi accoglie con modi ossequiosi e quando gli chiedo una composizione di fori secchi mi indica il reparto ed io scelgo. Belli, bianchi e tanti, inframmezzati da foglie secche verdi. Il fioraio si mette all’opera sul bancone per fare la composizione sotto il mio sguardo vigile. Chissà perché in quel momento tra i vari pensieri c’è stato anche quello che il fioraio davanti a me doveva essere una brava persona per avere il negozio quasi di fronte a casa Falcone. E così chiacchierando dico la frase fatidica: < si la composizione è proprio bella, sa sono per il giudice Falcone ed erano anni che mi ripromettevo di venire qui >. Ero convintissima che avrebbe iniziato ad intessere le lodi di Falcone ed invece … Invece ho visto per la prima volta in faccia la mafia. Il viso di quell’uomo si è completamente deformato. Serio, duro, scontroso e la sua voce che dice < ah …>. Poi più nulla, nemmeno una parola. Velocissimo finisce la confezione, pago, esco.
Adesso, dopo aver scritto di getto questi ricordi mi rendo conto che avrei dovuto raccontare anche del Giudice Borsellino. Già, ormai non esiste più “Facone” e/o “Borsellino”. No, esiste solo la coppia “Falcone e Borsellino”. Anche su questo mi sento di esprimere un pensiero che forse potrebbe apparire impopolare. Non si tratta certo di fare una graduatoria perché ogni vita è preziosa, specie quella delle persone perbene ma allora ha ragione la Dottoressa Boccassini, bisognerebbe nominare e ricordare le decine e decine di magistrati (con relative scorte) morti ammazzati. Non solo loro due.
A volte ho la sensazione che con il continuo ricorso all’endiadi “Falcone e Borsellino” si voglia un po’ diluire la forza dirompente e simbolica di una personalità come quella di Giovanni Falcone. Quando si trattò di delegittimare il lavoro dell’antimafia il bersaglio fu Falcone e nessun altro. Fu Giovanni Falcone a trovare la strada e a dare l’esempio.
Tutti gli altri, tutti noi poveri sognatori, allora come oggi seguiamo solo il Suo percorso e le sue idee. O almeno ci proviamo.
Maria De Luca