Condannati e felici. Escono con il sorriso sulle labbra imputati e avvocati dall’aula B del tribunale di Ferrara, dove si è concluso uno dei processi più importanti nella storia della provincia estense e nella storia delle cooperative in generale. Dopo tre anni di udienze, perizie e controperizie è arrivato il verdetto sulla bancarotta del 2003 della Coopcostruttori di Argenta, quantificata dalla procura in oltre un miliardo di euro.
Coopcostruttori, all’epoca una delle prime quattro imprese del settore in Italia, era arrivata negli anni d’oro a fatturare 433 milioni di euro l’anno e a contare oltre 2500 dipendenti. Poi, dopo dieci anni di appalti al ribasso e tentativi di salvataggio abortiti, andò in frantumi, volatilizzando i soldi di centinaia di soci lavoratori e risparmiatori.
A capo di quel colosso, presidente per 43 anni, c’era Giovanni Donigaglia. Sotto Tangentopoli per Mani pulite finì in carcere per cinque volte. Per la cronaca era nella cella di fianco a quella di Primo Greganti, a San Vittore. Lui ha sempre ricordato quel periodo come una battaglia personale: “ho subito 32 processi e ricevuto 32 assoluzioni”. Quanto agli ultimissimi anni, il patron è entrato ed uscito diverse volte dalle aule dei tribunali. Solo nel 2013 ha rimediato una assoluzione per il fallimento della società Progresso e tre anni e mezzo di condanna per un altro crac, quello della società Messidoro, sempre di Ferrara.
Ora, alla luce della condanna a 4 anni e mezzo, Donigaglia si sente di esultare. La pm Ombretta Volta aveva chiesto per lui 14 anni per associazione per delinquere finalizzata, attraverso operazioni fraudolente, a reperire risorse finanziarie per la cooperativa. Le altre principali richieste di condanna prevedevano 12 anni per il suo vice e braccio destro, Renzo Ricci Maccarini; 10 per Beppino Verlicchi e 9 per Giorgio Dal Pozzo (gli altri due vicepresidenti, responsabili dei settori appalti e fabbriche, ); 5 anni per i membri dei collegi sindacali e 3 per Ortolani, considerato uno degli imputati minori.
E invece il giudice collegiale, dopo oltre 24 ore di camera di consiglio, ha assolto tutti per i capi di imputazione più gravi. Niente associazione per delinquere finalizzata alla bancarotta; niente falso in bilancio; niente fatture false. A reggere l’impianto accusatorio sono rimasti i capi relativi alle bancarotte documentali, distrattive e preferenziali legate ai rimborsi di Apc e prestito sociale e il famoso ‘capo E’, relativo all’acquisto della Spal. Una mossa falsa che risale ai primi anni ‘90, imposta dall’allora Pci – come testimoniò in aula (“Non poteva dire di no”) il sindaco di allora, Roberto Soffritti, oggi candidato per Rivoluzione civile di Ingroia – che costò alla cooperativa qualcosa come 38 milioni di euro.
Per quei fatti quindi – salvo appelli – Donigaglia dovrà scontare la pena di 4 anni e mezzo. Identica pena per Renzo Ricci Maccarini. Tre anni e mezzo per Giorgio Dal Pozzo (vicepresidente dal 1997 al 2003), 3 anni e 2 mesi a Valentino Ortolani (vice presidente fino al ’97) e Beppino Verlicchi (vicepresidente e responsabile produzione); 3 anni e 3 mesi a Mauro Angelini (membro dei collegi sindacali di Costruttori), 3 anni a Sante Baldini e Achille Calzolari (gli altri due sindaci). Assoluzione in toto invece per gli altri dodici imputati.
Per tutti e otto, come pena accessoria, il tribunale presieduto dal giudice Francesco Caruso ha dichiarato l’interdizione per dieci anni dall’esercizio di impresa e di cinque anni dai pubblici uffici Risarcimenti minimi per le parti civili: duemila euro a testa. Maxi provvisionale di dieci milioni di euro invece all’Amministrazione straordinaria Scarl. “Allora non ho ingannato nessuno, la popolazione non è stata ingannata da me”, è il commento a caldo dell’imputato numero uno. Il difensore di Donigaglia, l’avvocato Cesarina Mitaritonna, rimarca per lui come quella di sabato sia “una sentenza positiva per gli ex vertici Coopcostruttori sotto il profilo della dignità personale; ed è anche per questo che Donigaglia è contento”.
Se si possono definire condannati e felici Donigaglia e soci, altrettanto non si può dire per le parti civili, che già alla lettura del dispositivo hanno rumoreggiato in tribunale. “Siamo sotto choc. Possiamo dirlo? Ci aspettavamo una condanna molto maggiore, e invece questa sentenza vale quasi come un’assoluzione. Per l’ennesima volta il popolino è stato condannato, perché qui siamo noi i veri condannati, non loro”.
“C’è una forte delusione – spiegano gli avvocati Claudio Maruzzi e Marcello Carmelo, il cui studio associato assiste circa 35 parti civili coinvolte nella causa – perché i reati per i quali i nostri assistiti potevano sperare di avere un riconoscimento delle loro legittime aspettative di giustizia sono caduti, nel senso che il tribunale ha ritenuto di dover assolvere gli imputati”.