Parlare di un Lambrusco non filtrato, a rifermentazione naturale in bottiglia con lieviti indigeni, potrebbe anche rientrare nelle mie confessioni eno-fighette (tipo questa e quest’altra), vista anche la rinnovata centralità degli ultimi anni del Lambrusco tra i bevitori più ricercati.
Ma come: il Lambrusco, quello prodotto in milioni di bottiglie che il suocero medio sfoggia in sicurezza la domenica, obbligando gli avvinazzati con cognizione a simulare il virus gastrointestinale per farne a meno? Eh sì, ma con tutte le sfumature del caso che escludono i troppi prodotti dozzinali e che vedono davanti a tutti un pugno di produttori fautori di questo rilancio, su cui non mi soffermo perché sarei fuori tempo massimo. Qualche cantina per chi volesse provare qualche Lambrusco di grande personalità e mineralità però la suggerisco perché sono quelle che sto scoprendo io stesso con piacere. Provate Camillo Donati, Cinque Campi, Podere Saliceto, Cà de Noci, Storchi o se siete più tradizionalisti (o più pigri nelle ricerche) Cavicchioli e la Cantina di Sorbara, sicuramente tra le migliori industriali.
Per riequilibrare il tasso di hipsterismo potenziale del post lo popolarizzo, spiegando come sono arrivato ad aprire questa bottiglia – perdonatemi le premesse e le peregrinazioni autobiografiche ma è un blog di vino, non un seminario di letteratura comparata. Semplicemente non credo molto nella scienza degli abbinamenti e allora li sublimo demenzialmente attraverso una vecchia tradizione (ognuno ha le sue turbe): legare il vino a una partita importante dell’Arsenal (tifo una squadra inglese, altra turba, anche masochista). Volevo qualcosa di amabile, fresco, poco impegnativo e dalla grande beva in casi di prevedibile disfatta serale e ho pensato a questo Lambrusco “Radice” di Paltrinieri, prodotto di punta di una cantina che lo coltiva da tre generazioni nella zona d’eccellenza del vitigno. A Cristo, crue storica tra Secchia e Panaro.
Il Radice è un Sorbara in purezza di livello ineccepibile: una vera sicurezza. Un vino frizzante secco, scarico nelle tonalità rubino chiaro e rigoglioso nell’effervescenza. Bello al naso (rosa, fragoline, ciliegia e sentori vinosi arrivano netti e poi si evolvono), essenziale, freschissimo e con una buona lunghezza, oltre che ovviamente dotato di una beva da competizione. L’azienda produce altre versioni del Lambrusco che non ho assaggiato recentemente, ma questa versione rifermentata è considerata il fiore all’occhiello della cantina. Spesso non condivido molto le valutazioni delle guide ma qui mi accodo agli elogi dell’Espresso (che forse esagera a giudicarlo come “Lambrusco dell’anno” ma siamo da quelle parti) e anche Slow Wine gli tributa il giusto elogio. Prezzo onestissimo: io l’ho preso online a 8 euro, difficile pagarlo oltre le 10 in enoteca.