A differenza degli altri boss, dal 2007 il padrino corleonese non è videosorvegliato. Così non esistono prove di un recente incidente e del presunto tentativo di suicidio. L'ennesima stranezza nel trattamento carcerario è emersa nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia
Non solo da quando è recluso nel carcere di Parma, ma anche quando era detenuto a Novara, il boss Bernardo Provenzano, non ha mai avuto una telecamera in cella. A differenza di altri capimafia del suo calibro (come Toto’ Riina), il boss indicato come il terminale della trattativa Stato-mafia dal 2007 a oggi ha potuto mantenere la privacy. La notizia è emersa durante lo stralcio dell’udienza preliminare che riguarda la posizione di Binnu nell’ambito del negoziato tra Cosa nostra e le istituzioni. Ma non è stato sempre così. Grazie ad una nota pervenuta alla Procura di Palermo dal carcere di Terni, infatti, si è saputo che nel primo anno della sua detenzione, quando era recluso nel penitenziario umbro, Provenzano è stato invece monitorato 24 ore su 24 dalla videosorveglianza.
Che cosa è accaduto nell’aprile del 2007, quando il boss è stato trasferito a Novara? Chi ha deciso che la telecamera in cella non era più necessaria? E perché? Sono le domande alle quali dovrà dare una risposta il pm di Palermo Nino Di Matteo, titolare dell’indagine sul misterioso tentativo di suicidio di Provenzano e sulla successiva caduta del capomafia dalla branda della sua cella, anche alla luce di alcune misteriose vicende che hanno accompagnato la detenzione di Binnu a partire dal giorno della sua cattura, avvenuta nel corleonese l’11 aprile del 2006.
La prima è la notizia pubblicata su La Repubblica, dopo l’arresto del boss, secondo la quale Giovanni Riina, figlio di Toto’ ‘’u curtu’’, all’entrata di Provenzano nel carcere di Terni, avrebbe esclamato: “Questo sbirro qui l’hanno portato?”. La notizia si rivelò totalmente falsa, e Massimo Ciancimino (che se ne assunse la paternità) spiegò che era stato il signor Franco – il misterioso 007 che avrebbe monitorato la trattativa Stato-mafia – a rivelargliela, con preghiera della massima diffusione. La seconda riguarda le numerose pressioni arrivate al magistrato Sebastiano Ardita, ex capo dell’ufficio detenuti del Dap, per spostare Provenzano dal carcere di Terni.
Deponendo al processo Mori, Ardita ha raccontato che già nelle ore immediatamente successive all’arresto di Binnu, alcuni funzionari del Gom (il Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria) gli consigliarono di sistemare Provenzano nel carcere de L’Aquila, dove era detenuto il boss Piddu Madonia. “Si formò un vero e proprio carteggio sulla mia scrivania – ha detto Ardita – con richieste di trasferimento di Provenzano’’.
La terza vicenda riguarda la diffusione, sui quotidiani, di un’altra circostanza non vera: e cioè che al boss corleonese fosse stata servita una torta di compleanno. “Notizia anche questa falsa – ha commentato Ardita –perché si trattava di una crostatina piccola, confezionata dal Mulino Bianco e servita a tutti i detenuti nel menù di quel giorno”. A quel punto, però, il boss mafioso venne trasferito a Novara. Da allora nessuna telecamera lo ha più controllato in cella. Risultato? Il “giallo” del tentato suicidio e le circostanze della sua caduta dalla branda, sostengono gli inquirenti, diventano ora “inaccertabili”, almeno sotto il profilo della prova-video.