Il Tar deve decidere se sospendere il documento che introduce un sistema di votazione per l’elezione dei vertici basato sul ‘censo’ degli associati. Ovvero chi più incassa in diritti d’autore potrà anche esprimere più voti
Multinazionali straniere della musica e grandi cantautori italiani da una parte. Piccoli editori musicali e autori minori dall’altra. Lo scontro che da mesi dilania la Siae potrebbe avere un primo verdetto oggi, quando il Tar del Lazio deciderà se sospendere o meno in via cautelare il nuovo statuto della società che protegge il diritto d’autore. Il documento, redatto sotto la gestione di un commissario straordinario e approvato lo scorso novembre dal governo, introduce un sistema di votazione per l’elezione dei vertici basato sul ‘censo’ degli associati. Ovvero chi più incassa in diritti d’autore potrà anche esprimere più voti. “La cultura italiana finisce in mano a pochi ricchi”, accusano le associazioni Acep, Arci e Audiocoop, che hanno promosso il ricorso e raggruppano musicisti indipendenti e case discografiche di piccole e medie dimensioni.
Se il tribunale amministrativo deciderà di sospendere lo statuto in attesa della sentenza di merito, verranno anche rinviate le elezioni previste per l’1 marzo. Altrimenti per i circa 100mila associati si apriranno a Roma le urne per la scelta dei loro rappresentanti nel consiglio di sorveglianza: il nuovo organo avrà poi il compito di nominare il consiglio di gestione, a cui spetterà la responsabilità di determinare i criteri di riparto degli incassi tra i vari associati. E proprio qui, secondo le tre associazioni, sta lo scandalo. Perché con il nuovo statuto gli associati, sia editori che autori, hanno diritto a un voto a testa e in più un voto per ogni euro incassato dal monte dei diritti d’autore distribuiti ogni anno dalla Siae. Insomma, chi già prende più soldi riuscirà a eleggere i propri rappresentanti, che ridistribuiranno il denaro con un occhio di riguardo per chi li ha votati. Con un risultato: i ricchi saranno sempre più ricchi. Questo, almeno, è il timore di Acep, Arci e Audocoop, che accusano il commissario straordinario, il novantunenne Gian Luigi Rondi, di avere assecondato le richieste delle grandi multinazionali della musica.
Ogni anno la Siae distribuisce circa 400 milioni di euro. Gran parte della somma, introno a 320 milioni di euro, va agli associati della sezione musica, che superano di gran lunga quelli delle sezioni dor (opere drammatiche e opere radiotelevisive), lirica, olaf (opere letterarie e arti figurative) e cinema. Nella sezione musica fanno la parte del leone alcune grandi case editrici legate a multinazionali straniere, come Warner, Universal e Sony, a cui si aggiunge l’italiana Sugar: a loro vanno circa 140 milioni. Gli autori di prima fascia (quelli che incassano oltre 100mila euro di diritti) incassano oltre 40 milioni di euro, secondo le stime diffuse dalle tre associazioni. Insomma la maggioranza dei voti ‘per censo’ è in mano ai grandi editori, a cui si accodano i grandi autori musicali, tra i quali Gino Paoli e Mogol, che attraverso la loro Federazione degli autori hanno appoggiato la redazione del nuovo statuto. Considerata l’equivalenza ‘un euro-un voto’, i voti per censo sono circa 400 milioni e pesano molto di più di quelli ‘per testa’, circa 100mila, come il numero degli associati.
La gestione del commissario straordinario è iniziata due anni fa, con il mandato di riparare ad anni di sprechi e di riscrivere le regole della Siae. Ma il risultato è stato un “autentico golpe”, scrivono gli avvocati che hanno firmato il ricorso, tra cui il blogger de ilfattoquotidiano.it Guido Scorza: la forma di governo dell’ente è stata trasformata ed è stato sostituito “il precedente regime democratico con un regime di palese natura plutocratica”. I pro statuto ribattono: il sistema per censo è mitigato dal limite massimo imposto ai voti esprimibili da ciascun associato, pari a un quarantesimo del numero totale di voti. Per i legali delle tre associazioni, però, tale limite non impedisce a un pugno di associati “di influenzare autonomamente ogni delibera assembleare, travolgendo la volontà della maggioranza degli associati”. Piccoli autori ed editori, che sono gran parte dei soci Siae, non riusciranno più a dire la loro nei processi decisionali.
Di sistema “antidemocratico” parla Alessandro Angrisano, vicepresidente di Acep: “La Siae – spiega – è un ente pubblico economico a base associativa. Dovrebbe anche fare promozione culturale, e invece gli hanno dato uno statuto da istituto di credito”. Il nuovo statuto ha inoltre introdotto due nuove regole discusse. Gli associati possono votare solo nella sede di Roma e non più nelle diverse sedi sparse per tutta Italia, cosa che sfavorirà l’affluenza alle urne per chi dispone di pochi voti. E la votazione sarà palese, con la conseguenza che molti associati potrebbero sentire il condizionamento dei grandi editori. Un sistema “miope”, lo definisce il Piotta, uno degli artisti che criticano le novità introdotte dal commissario straordinario: “A pagarne le conseguenze saranno soprattutto i giovani. Loro sono il futuro, ma ora saranno ancora più restii a iscriversi alla Siae”.
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