Bersani e Monti hanno un modo molto semplice per convincere gli italiani che le loro parole non sono emissioni di borborigmi propagandistici: si impegnino solennemente ad applicare, come loro primo gesto parlamentare, la legge sul conflitto di interessi che esiste già dal lontano 1957, e in base alla quale Berlusconi non è eleggibile.
Sostiene la legge 461 del 1957 all’articolo 10 comma 1, infatti, che non sono eleggibili “coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica”. In sede di discussione fu precisato che per “notevole entità economica” si intendeva qualunque concessione che eccedesse in valore quella di una tabaccheria. Anche a un immaginifico (s)mentitore professionale come il Cavaliere putiniano di Arcore risulterà difficile contestare che Canale 5, Rete 4, Italia 1 valgano un po’ di più, nel loro complesso, di un “sale e tabacchi”.
L’applicazione della legge 461/1957 è affidata in entrambi i rami del Parlamento alla rispettiva “Giunta per le elezioni”, che delibera a maggioranza. Anziché applicarla, la legge l’ha violata nel 1994 la maggioranza Berlusconi-Bossi-Fini-Casini, ed era un’indecenza prevedibile. Ma l’ha poi violata per due legislature anche la maggioranza dei Prodi, D’Alema, Bertinotti e altri Veltroni, immemore della protesta già avanzata da un comitato promosso da Vittorio Cimiotta (“Giustizia e Libertà”) e formato da Alessandro Galante Garrone, Paolo Sylos Labini, Ettore Gallo, Vito Laterza, Alessandro Pizzorusso, Aldo Visalberghi, Antonio Giolitti e il sottoscritto.
Poiché “perseverare diabolicum”, Bersani scandisca da qui al 24, in ogni discorso e dichiarazione, che se il Pd avrà la maggioranza la legge del ’57 non sarà più violata, e Berlusconi sarà perciò dichiarato “non eletto”. Se non ha nemmeno questo elementare coraggio (in realtà elementare decenza) non parli più di voto utile, visto che il voto al Pd sarebbe invece un voto complice.
Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2013