L'editore accusato di turbativa d'asta con l'aggravante dell'intimidazione mafiosa: "Minacciò i membri della commissione che doveva valutare le anomalie nell'iter dell'assegnazione degli appalti dicendo che sarebbero finiti in carcere e avrebbe scelto lui le foto da mettere sul giornale"
Turbativa d’asta con l’aggravante dell’intimidazione mafiosa. E’ l’ipotesi di reato contestata al potente editore catanese Mario Ciancio Sanfilippo. A indagare sarà la Procura di Catania dopo che il tribunale ha trasmesso gli atti del dibattimento del processo sugli appalti del nuovo ospedale Garibaldi della città siciliana. Ciancio Sanfilippo in passato era già stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa: i pm avevano chiesto l’archiviazione, ma il gip Luigi Barone ha ordinato nuove indagini su una serie di punti trascurati dall’inchiesta.
La nuova tegola sulla testa dell’editore arriva, dunque, dal processo per gli appalti del nuovo ospedale Garibaldi e della residenza universitaria “Il Tavoliere” che ha visto coinvolti l’imprenditore Umberto Romagnoli e l’appaltatore agrigentino Vincenzo Randazzo. Un processo che è arrivato alla sentenza di appello e che nasce da una vicenda di 12 anni fa, quando Randazzo e Romagnoli, si dividono i due più grossi appalti catanesi dell’epoca: Randazzo la casa dello studente, Romagnoli il nuovo ospedale. A gestire il tutto una cabina di regia nella quale sedevano politici, funzionari, professionisti e uomini di Cosa Nostra.
Nell’inchiesta finisce anche il braccio destro di Ciancio, l’ingegnere Giuseppe Ursino, che viene salvato dalla prescrizione, così come il senatore del Pdl Pino Firrarello, condannato in primo grado per turbativa d’asta con l’aggravante mafiosa, ma prescritto dopo che il rappresentante dell’accusa in appello, l’attuale procuratore aggiunto Michelangelo Patanè, aveva chiesto che venisse eliminata l’aggravante mafiosa. La prescrizione tuttavia non salva gli imputati dagli effetti civili. Tutti i prescritti infatti dovranno risarcire in solido la ditta esclusa e l’ospedale.
A mettere nei guai Ciancio Sanfilippo sono state le dichiarazioni di Giuseppe Cicero. Cicero è un avvocato amministrativista ed era membro della commissione che doveva valutare le anomalie delle offerte. Cicero (condannato in primo grado, poi ha rinunciato alla prescrizione) ha raccontato ai giudici dlle pressioni ricevute per dichiarare anomala l’offerta dell’impresa concorrente a Romagnoli e permettere dunque che l’appalto dell’ospedale andasse all’imprenditore lombardo.
In particolare dal processo sono emerse alcune riunioni, una delle quali avvenuta nello studio di Ciancio nella sede del quotidiano La Sicilia, altre in alberghi romani, sempre con la partecipazione, tra gli altri, di Ciancio. Le riunioni sarebbero servite a stabilire le modalità di aggiudicazione degli appalti: nel corso di questi incontri Cicero e un altro membro della commissione, l’ingegnere Sciortino, sarebbero stati pesantemente minacciati per costringerli a firmare gli atti che dichiaravano anomala l’offerta della ditta concorrente. Agli atti ci sono anche i tracciati telefonici degli imputati dai quali – secondo quanto dichiarato in aula dall’avvocato Antonio Fiumefreddo (difensore di Cicero) – vedrebbero anche la presenza di cellulari intestati ai servizi segreti nell’area delle riunioni.
A una di queste riunioni, si legge nella sentenza, prese parte anche Mario Ciancio. Ursino condusse infatti Sciortino e Cicero nell’ufficio di Ciancio per spingerli “a firmare la relazione di esclusione della società della F.lli Costanzo” (“fate le cose per bene”), “anche – scrivono i giudici – con la espressa minaccia che altrimenti sarebbero finiti in carcere e sarebbe stato lui a scegliere la pagina su cui pubblicare le loro foto”. Ciancio, insomma, “ebbe sicuramente un ruolo di primo piano – prosegue il tribunale – sia pure dietro le quinte, nella vicenda che ci occupa tanto da interessarsi personalmente, prima minacciando Sciortino e Cicero il 28 settembre 1997 a firmare la relazione in parola, e poi, partecipando alla riunione, in Roma (…) alla definitiva spartizione dei due appalti tra detti due imprenditori, definendo i termini dell’accordo”.