Elisa è una forza della natura e lo sono anche coloro che a turno la accompagnano, tra i quali ci sono sempre almeno un medico e un infermiere. La prima volta in cui organizzò un viaggio per portare aiuti era riuscita a trovare solo altre tre persone. Sono partiti quindi in 4. Per questo il gruppo aperto creato su Facebook per trovare altri compagni e finanziamenti si chiama “Time4life”, tempo per la vita. Nel frattempo si sono aggiunti nuovi compagni e amici che offrono soldi e aiuti. “Il prossimo mese diventeremo a tutti gli effetti un’associazione ma fin dall’inizio abbiamo sempre fatto avere ai donatori i riscontri di ciò che abbiamo speso”.
Elisa si è trovata in Siria grazie al suo più caro amico, Feisal, un ragazzo siriano che veniva a passare le vacanze in Italia. “Quando scoppiò il conflitto la famiglia di Feisal, che è benestante, si trasferì a Dubai. Ma Feisal ha subito organizzato convogli di aiuti per i civili rimasti in Siria e ha chiesto anche a me di aiutarlo a reperire latte, medicine e vestiti. La prima volta in cui sono entrata in Siria, sempre dal confine turco, ho dovuto farlo a piedi con uno zaino pieno di dosi di anestetico e latte antireflusso . Ci guidava un volontario siriano. L’accoglienza non è stata piacevole: gli aerei di Assad hanno bombardato e due bombe sono cadute a 500 metri. Abbiamo avuto paura ma dovevamo dare assolutamente al dottore che ci aspettava quegli anestetici per operare. Ora per fortuna riusciamo a entrare con dei furgoni, così portiamo più aiuti”.
Elisa è determinata ad andare avanti, anche se il colpo di coda del regime potrà essere ancora più cruento. “La settimana scorsa invece il medico con cui avevamo appuntamento non è mai arrivato. Abbiamo chiamato i suoi colleghi a Damasco ma nessuno ne sapeva nulla. I medici sono la categoria più a rischio oggi in Siria. Se si azzardano a curare i civili, compresi i bambini, il regime li prende di mira perché li considera conniventi con i ribelli. Molti per questo sono stati uccisi o rapiti. In realtà lo scopo di Assad è terrorizzare la gente per isolare l’esercito libero siriano. Ma è troppo tardi”.
Nei campi profughi di fortuna spuntati a ridosso del confine turco infatti non si vedono più nè medici nè infermieri. “E ci vorrebbero perché le condizioni lì sono disumane: tende fatte di pezzi di plastica e coperte ridotte a brandelli. Non sono veri campi profughi, si definiscono campi bloccati perché sono abitati da migliaia di persone che vorrebbero scappare in Turchia e invece rimangono bloccate perché la Turchia non riesce più ad accoglierle. Abbiamo trovato bambini che non mangiavano da una settimana, altri che da mesi mangiano solo un po’ di pane, bevendo acqua sporca”. Per questo muoiono di dissenteria.
Il Fatto Quotidiano, 21 febbraio 2013