Cronaca

Berlusconi, le mafie e le agende rosse per difenderci

L’esplosione del tritolo è solo l’atto finale. Un magistrato, un servitore dello Stato muore un po’ prima: quando è delegittimato; quando è esautorato; quando è minacciato. Le parole pronunciate da un uomo di Stato come l’ex premier Silvio Berlusconi mi terrorizzano, mi inquietano, mi turbano. “Da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. Sono parole violente, oltraggiose, mimetiche. Leggendole con freddezza, ascoltandole nella mente, guardandole singolarmente e poi mettendole insieme: mi danno bruciore e fastidio. E’ una sensazione: non mi piace il loro rumore.

Tra poche settimane ci saranno importanti sentenze. Cito una tra tutte: quella che riguarda il senatore uscente Marcello Dell’Utri. La filigrana di quelle parole è maligna, puzzano di morte. Gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Appartengo alla generazione del 1970, una generazione disgraziata che sembra non avere il diritto alla verità. Il mio pensiero corre e si ferma a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ne potrei aggiungere tanti altri: Rosario Livatino, Rocco Chinnici e Cesare Terranova delegittimati e poi dilaniati dall’esplosivo. C’è un vento fresco di popolo che soffia e non vuole più piangere eroi perché non erano eroi, ma solo servitori dello Stato.

Immedesimatevi e chiedetevi cosa debba pensare un magistrato che ogni santo giorno rischia la pelle con i suoi uomini della scorta, una volta ascoltate le parole pronunciate da Berlusconi. Il clima è diventato pesante. L’aria si è fatta irrespirabile. C’è come un presentimento. Non a caso scrivo questo post. Proprio in questi giorni nel frastuono delle notizie cotte e mangiate è saltata fuori una intercettazione: “Può essere che nel frattempo che faccio l’appello muore Maresca”. “Voglio vedere cosa succede. Muore di malattia per cazzi suoi”. La risata è fragorosa. La “battuta” è di un certo Vincenzo Inquieto mentre chiacchiera in un colloquio in carcere con i suoi parenti. L’uomo era stipendiato dai Casalesi perché aveva ricavato nella sua abitazione a Casapesenna (Caserta), il covo dove si nascondeva il padrino latitante Michele Zagaria alias Capastorta, arrestato il 7 dicembre del 2011 dopo 15 anni di latitanza. Inquieto è stato condannato in primo grado a quattro anni di carcere per favoreggiamento. Il suo avvertimento-minaccia è rivolto al pm Catello Maresca, uno dei magistrati di punta del pool che indaga da anni e con importanti risultati sulla cosca dei Casalesi.

E’ solo una delle tante intimidazioni che questo bravissimo pm ha ricevuto. A maggio dell’anno scorso. Infatti, nel giorno del suo quarantesimo compleanno giunse puntuale l’ennesima minaccia di morte da parte della camorra. E per difendersi Maresca ha adottato il metodo di un suo ideale maestro il giudice Paolo Borsellino: “Ho pensato di comprare un quaderno per scrivere ogni giorno quello che vedo, quello che so: le complicità, i tradimenti, i sacrifici di tanti onesti. Mi è venuta voglia di scrivere un’agenda rossa”. In cuor mio consiglio al pm Catello, ai tanti servitori dello Stato e alle tante persone oneste di appuntare nelle nostre agende rosse le ultime parole pronunciate da Silvio Berlusconi : “Da noi la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. Per difenderci, per non dimenticare.