Se mi chiedono quale indicazione di voto darà il Fatto ai propri lettori rispondo: nessuna. Quando all’inizio dell’avventura di questo giornale mi domandarono quale sarebbe stata la nostra linea politica fu semplice rispondere: la Costituzione italiana. Poiché volevamo che le nostre scelte politiche fossero ancorate a quei principi di legalità, democrazia e giustizia sociale sui quali con il sacrificio di tanti era stata costruita la Repubblica. Avevamo fondato il Fatto perché non ne potevamo più delle varie caste che hanno spolpato il Paese, a cominciare da quelle partitiche. A farci dettare la linea da qualche politburo, ancorché travestito di nuovo non ci pensavamo e non ci pensiamo proprio.
Ma se oggi dovessimo misurare i vari programmi elettorali sui valori della Carta non sapremmo davvero che pesci prendere. Ci limitiamo, perciò, a constatare come le ricette economiche delle liste in gara, tutte spacciate per salvifiche, siano (nel migliore dei casi) dei sogni nel cassetto quando non delle vere e proprie imposture. Lasciamo stare il ciarlatano che in mancanza di un rimborso dello Stato si è impegnato a pagare di tasca propria l’Imu (“Berlusconi è pronto a togliere il pane ai figli”, ha titolato Libero con sublime sprezzo del ridicolo). Ma che senso ha promettere l’abbassamento della prima aliquota Irpef (Pd) o il dimezzamento dell’Irap (Monti) o l’introduzione del sussidio di disoccupazione garantito e universale (M5S) quando il programma del nuovo governo è già bello che scritto con le stime al ribasso che Bruxellesci ha recapitato, guarda caso, a poche ore dall’apertura dei seggi? Con un ulteriore calo del Pil nel 2013, con la perdita di altri 700 mila posti di lavoro e con il debito pubblico sempre più rigoglioso, dove cavolo li andremo a prendere i quattrini per finanziare gli immaginifici tagli fiscali e i sensazionali investimenti per la crescita resta un mistero gaudioso, anzi doloroso.
E allora? E allora, oggi e domani trovandoci di fronte alle schede elettorali zeppe di simboli colorati, forse l’àncora a cui aggrapparci potremmo trovarla nei versi di Montale: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/ Sì qualche storta sillaba e secca come un ramo/Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Nei nostri ossi di seppia non vorremmo più vedere, naturalmente, i ladri che a destra hanno fatto bottino del bene pubblico e neppure i loro complici che a sinistra, per un ventennio, hanno fatto finta di non vedere. Non siamo bipartisan se questa parola ha il significato degli inciuci di palazzo e delle larghe intese benedette dal Colle con la scusa che Grillo è alle porte.
Bisogna avere il coraggio di scegliere. Se la vecchia politica ci fa schifo, ma è meglio di un salto nel buio, turiamoci il naso e via. Ma se un comico riempie le piazze dando voce (come anche fa Ingroia) alla montante rivolta civile non possiamo poi obiettare che urla troppo, che è intollerante, arrogante, aggressivo ecc. Prendere o lasciare: questa volta l’alternativa esiste e non è gratis.
Post Scriptum. I più fortunati sono i nostri lettori-elettori di Lombardia e Lazio dove i lasciti di Formigoni e Polverini rendono lampante ciò che non vogliamo mai più. Ambrosoli e Zingaretti sentitamente ringraziano.
Il Fatto Quotidiano, 24 Febbraio 2012