Questo post è di stretta attualità e concerne un evento che si svolge oggi lunedì 25 febbraio, in pratica mentre scrivo questo post per il Fatto. Ci riguarda, perché potrebbe essere ripetuto in Italia, come vedremo tra qualche riga. Protagonista il regista Tony Rooke, che, essendosi molto adirato per le gravi scorrettezze giornalistiche compiute dalla BBC in occasione del decimo anniversario dell’11 Settembre 2001 (con ben due documentari tendenziosamente impegnati a ridicolizzare i critici della versione ufficiale), annunciò pubblicamente che non avrebbe più pagato quello che noi, in Italia, chiamiamo il “canone” (che, in altra forma, si paga anche in Inghilterra). 

In Inghilterra la giustizia funziona ancora e Tony Rooke venne rapidamente chiamato in giudizio per evasione del canone. Ma il nostro uomo passò al contrattacco. Basandosi sulle leggi in vigore ( in particolare le Sezione 15 del  UK Terrorism Act 2000, Articolo 3, la quale stabilisce che è illegale finanziare attività che possono essere ragionevolmente sospettate di favorire attività terroristiche), accusò la BBC di avere nascosto la verità e di aver cercato di screditare coloro che cercano di rivelarla al pubblico. In tal modo facendosi potenzialmente complice di  terroristi coinvolti in quel tragico evento e non ancora identificati e portati in giudizio.

Un’offensiva giudiziaria assai ben organizzata, che  è stata accompagnata da una massiccia campagna di protesta contro la BBC, accusata di violare sistematicamente, proprio in tema di 11 settembre, tutte le norme della correttezza giornalistica, dell’accuratezza e imparzialità delle informazioni fornite al pubblico (non vi pare che le stesse cose si possano applicare perfettamente al comportamento delle tre reti RAI?). Centinaia di lettere hanno tempestato l’illustre istituzione informativa britannica. In aggiunta Tony Rooke ha esibito una ricca documentazione, fornitagli da due eminenti fonti internazionali, quella del professor Niels Harrit, dell’Università di Copenhagen, e quella di Richard Cage, architetto che è a capo di un’associazione (Architects &Engeneers for 9/11 Truth), con più di 1200 membri.

In particolare Niels Harrit è testimone prezioso per due motivi. Il primo è che egli ha guidato un team di ricerca che portò alla individuazione di residui di nanotermite nelle polveri del WTC, che portano la prova di una demolizione controllata degli edifici (scientific journal), sia anche perché la BBC applicò gli stessi metodi di aggressione e distorsione dei fatti e delle sue stesse dichiarazioni intervistandolo in altra occasione (documentary with BBC) . Harrit ebbe tuttavia l’accortezza di registrare sia l’intervista originale, sia la conversazione con l’inviato, prima e dopo l’intervista, dalla quale emerge con tutta evidenza la scorrettezza del comportamento dell’intervistatore e la sua ostilità e partigianeria.

Il magistrato, raccolta la documentazione, ha accettato l’istanza di Tony Rooke e ha concesso un’udienza di tre ore, per ascoltare il team difensivo del regista. Il che non lascia dubbi sulla portata del giudizio che dovrà essere pronunciato, e sulle sue conseguenze, anche internazionali. Tra gli esperti che compaiono in udienza lunedì 25 febbraio sono infatti previsti, ad esempio Tony Farrell, ex analista dei servizi segreti britannici, licenziato per avere prodotto un’analisi dettagliata degli attentati terroristici a Londra, il 7/7 2005, dalla quale è emerso che si trattò di un insider job  in cui furono coinvolti i servizi segreti britannico e statunitense. Un altro testimone è Ray Savage, anche lui ex agente dei servizi segreti britannici. Hanno inviato testimonianze scritte, oltre a Richard Gage anche Dwain Deets ex direttore dei progetti aerospaziali della NASA, Erik Lawyer, fondatore dell’Associazione dei Pompieri per la verità sull’11 settembre, e Jake Jacobs, pilota veterano della US Airline.

Tutto ciò mi pare assai istruttivo e interessante.  Ma vorrei aggiungere altre due considerazioni. Una lunga e l’altra breve. La prima è che Tony Rooke ha avvertito e pregato i suoi sostenitori, coloro che andranno davanti al tribunale a dargli manforte, di non parlare con la stampa mainstream. Non c’è da fidarsi dei giornalisti, in Inghilterra come in Italia (Grillo docet). E non si può davvero dargli torto. “Troppo tardi” è mostrare ora interesse dopo una tale mostruosa serie di inganni e di silenzi. “Guerre illegali – scrivono gli avvocati del suo team – sono state fatte e continuano a farsi sulla base di quel tragico giorno. Le libertà civili sono state cancellate insieme a innumerevoli vite di soldati, civili, bambini. Aperture che mostrano oggi un ‘amichevole interesse0 non sono credibili.  Questo processo si svolge proprio a causa dell’indifferenza del media mainstream, dell’ostilità e del discredito che i media hanno riversato contro coloro che ricercavano la verità sull’11/9, il tutto associato a un grande silenzio di fronte alla soverchiante evidenza che demoliva la versione ufficiale. L’informazione mainstream dev’essere trattata con il sospetto e la disapprovazione che merita”.

Una dichiarazione che si attaglia perfettamente al mainstream media italiano, senza eccezione alcuna, giornali, televisioni e radio.

La seconda considerazione è più ottimistica. Siamo di fronte alla prova che la ricerca della verità è ancora in corso e non demorde. Negli Stati Uniti e in Europa migliaia di persone ancora insistono, a undici anni di distanza, per ricomporre il puzzle della verità. E la battaglia contro i falsificatori, è la stessa battaglia contro coloro che l’atto terroristico idearono e eseguirono.

Per quanto mi riguarda sto dalla loro parte, anzi mi considero parte integrante di quella lotta. Perché fino a che non sarà fatta luce sugli eventi dell’11 settembre 2001, nessuno di noi sarà al sicuro.
Vi informerò sulle decisioni del tribunale di Horsham (di cui, ovviamente, nessun giornale italiano parlerà).

 

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